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Così Berlino esporta le armi nel Golfo (Arabia Saudita inclusa). Cade il tabù

È cascato il tabù tedesco. Nonostante l’annunciato blocco all’export militare verso Riad, la Germania ha venduto materiali per la difesa per 1,1 miliardi di euro a diversi Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen, solo nei primi sei mesi dell’anno.

LA DECISIONE DEL GOVERNO

I numeri delle esportazioni tedesche sono trapelati dall’agenzia di stampa Dpa ieri, con tanto di citazione di un documento del ministero dell’Economia. Oggi, al Bundestag, la conferma è arrivata dallo stesso dicastero, interrogato dai Verdi sul delicato dossier. Poi, in conferenza stampa, sono arrivate le spiegazioni del portavoce dell’esecutivo Steffen Seibert: “Tutte le decisioni che prende il governo nell’ambito della politica di difesa sono prese sia con lo sguardo rivolto al contratto di governo, sia ai legami del governo federale con gli altri partner europei”.

LA QUESTIONE EUROPEA

A determinare il mancato rispetto della decisione annunciata lo scorso ottobre, a seguito dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, è stata proprio la partita europea. “Portare avanti progetti di difesa con i nostri partner più stretti è nell’interesse del nostro paese“, ha dichiarato Seibert. È proprio dai partner europei erano arrivate le maggiori rimostranze sulla decisione dello stop. In particolare da Parigi, con tanti rappresentanti industriali d’oltralpe spaventati dai rischi sulle vendite (acquisite e future) riguardanti programmi sviluppati congiuntamente, anche quelli con piccoli contributi delle industrie tedesche.

IL CACCIA FRANCO-TEDESCO

La questione riguarda anche il caccia del futuro su cui Parigi e Berlino hanno deciso da tempo di collaborare, ammettendo proprio oggi al salone di Le Bourget la partecipazione della Spagna. L’ipotesi di export complicato per via della rigidità tedesca aveva generato preoccupazioni dalla Francia, tanto da rischiare di mettere in crisi l’intero progetto. Basti pensare che qualche settimana fa il neo numero uno di Airbus Guillaume Faury aveva addirittura minacciato di adire le vie legali nel caso di effetti sulle commesse già ottenute. Ma di insoddisfazioni di questo tipo ce ne sono state molteplici da parte dei rappresentati delle industrie transalpine.

I NUMERI

Ecco quindi la decisione tedesca di continuare a esportare armamenti verso i Parsi coinvolti nel conflitto in Yemen. Da gennaio a giungo sono state concesse 122 autorizzazioni per l’export diretto a Egitto (la fetta più consistente), Emirati Arabi, Giordania, Kuwait, Sudan e Bahrein. Secondo Deutsche Welle, due autorizzazioni avrebbero riguardato anche l’Arabia Saudita, in barba a quanto proclamato dall’esecutivo di Berlino a ottobre 2018.

IL DOSSIER IN ITALIA

La vicenda fa riflettere, soprattutto per il clamore del dibattito italiano relativo all’export militare verso Riad, finito al centro del botta e risposta tra le due forze di governo durante la campagna elettorale precedente al voto europeo. La nuova puntata potrebbe arrivare a breve a Montecitorio, con la discussione della mozione che chiede lo stop delle esportazioni degli armamenti verso l’Arabia Saudita. A metà maggio, i riflettori si erano riaccesi sul dossier per le protese di alcuni lavoratori del porto di Genova contrari all’attracco della nave saudita Bahri Yanbu perché forse contenente materiali militari, sulla scia di simili rimostranze prima arrivate al porto francese di Le Havre.

UNA SOLUZIONE CONTINENTALE

Probabilmente, ci spiegava il vice presidente dell’Istituto affari internazionali, Michele Nones, serve “una decisione collettiva europea sulla sospensione, o limitazione, o riduzione dell’export verso questo Paese, ma a condizione che sia tutta l’Unione a prendere questa decisione”. Ovviamente, aggiungeva, “se si tratta di azioni dei singoli, inevitabilmente queste esportazioni saranno effettuate da altri”, i quali andrebbero a prendersi fette importanti del mercato della difesa che cresce di più al mondo, quello del Golfo. In questo caso, notava ancora Nones, “noi paghiamo pesantemente la mancanza di volontà di costruire una politica estera europea comune”. D’altra parte, da Stati Uniti, Cina e Russia non arrivano le stesse perplessità. A Washington, esperti e addetti ai lavori ha già lanciato l’avvertimento: se non si rinnova l’azione verso questi Paesi, Pechino sarà felice di conquistare il mercato della Difesa del Medio Oriente.



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