Una delle fondamentali differenze tra il mondo occidentale e quello dell’estremo oriente riguarda la posizione dell’individuo nella società. La cultura giudaico-cristiana, la stessa filosofia greca e la rivoluzione francese sono di ispirazione schiettamente antropocentrica: al centro c’è l’individuo, con i suoi desideri, le sue responsabilità, i suoi errori.
Per la cultura confuciana che domina da quelle altre parti, ciò che conta non è il singolo, ma il gruppo, la famiglia, il clan e, via via salendo, infine la società. Per la cultura occidentale l’errore del singolo, il peccato, la deviazione della legge, trovano la punizione e l’espiazione. Per la cultura confuciana ciò che conta è la reputazione, la “faccia”: la perdita della rispettabilità non ha riparo possibile e non a caso, nella declinazione giapponese di quella cultura si incontra il rito estremo e disperato dell’harakiri eseguito con rituale minuzioso dal nobile samurai.
Fatta questa premessa si capisce perché nella città-Stato di Singapore, quarta potenza mondiale per Pil pro-capite, deliberatamente permeata di valori confuciani (il padre fondatore della Repubblica, Lee Kuan Yew elaborò una filosofia di governo su quei valori) è vietata l’importazione di chewing-gum. Qual è il nesso? Semplice: i tribunali singaporiani sono severissimi nei confronti dei cittadini sorpresi a gettare per terra residui di chewing-gum masticata, carte o cicche di sigaretta. Le pene sono pesanti: multe salate o, in caso di recidiva, addirittura la prigione, più una pena accessoria di cui si dirà più avanti. E non c’è dubbio sul fatto che il cittadino che sgarra verrà punito: il controllo sociale è totale e pervasivo con telecamere e smartphone, roba da George Orwell.
Veniamo dalle parti nostre. Un’occhiata ai marciapiedi delle nostre strade dove le cicche e i residui delle gomme americane sono le esuberanze più asettiche. Parliamo di deiezioni canine. Bisogna avere grande rispetto per le persone che accolgono in casa un cane. Quando, però, camminiamo per le vie del centro siamo ormai costretti ad abbassare lo sguardo, privandoci del guardare in faccia la gente, per evitare incidenti maleodoranti. Le strade tappezzate di deiezioni dei cani non raccontano l’incontinenza dei poveri animali ma la volgare inciviltà dei padroni. Raccontano di un deficit di senso della comunità grande quanto un buco nero di sir John Archibald Wheeler e fanno pensare a quei personaggi della commedia all’italiana immortalati da Ugo Tognazzi o Alberto Sordi, critici feroci dei pubblici costumi e dei protagonisti della politica ma in privato capaci della “qualunque”.
Basti pensare alla pedagogia criminale impartita da Tognazzi al figlioletto in età scolare ne “I mostri”, nell’episodio “L’educazione sentimentale” di Dino Risi, anno 1963. Il figlio sarebbe diventato un criminale e avrebbe fatto training col papà. Naturalmente troviamo quelle persone insopportabili e degne delle sanzioni penali più feroci (per esempio nettare l’isolato dalle schifezze dei propri cani ed anche altrui), tuttavia, almeno in questo caso il metodo singaporiano potrebbe essere adottato con qualche efficacia.
Oltre a quelle richiamate più sopra, c’è una pena accessoria da segnalare: il reo che torni a commettere il reato oltre alle altre sopporterà una sanzione micidiale, almeno da quelle parti lì. Dovrà indossare quando è in giro per la città, per la durata di un tempo stabilito dal giudice una maglietta con su scritto a caratteri cubitali “Io sono un sozzone”. È un problema di “faccia”, non c’è dubbio. Da quelle parti funziona. Chissà se potrebbe funzionare anche da noi.