Nei desiderata del vicepremier Luigi Di Maio doveva trasformarsi in una vera e propria banca pubblica per le imprese. Nella realtà delle cose, Cassa Depositi e prestiti resta un salvadanaio che il Tesoro è pronto a svuotare per evitare la procedura d’infrazione. Il ministero guidato da Giovanni Tria ha infatti appena chiesto a Cdp una cedola straordinaria da 960 milioni. La cifra in questione si somma a 1,55 miliardi di dividendi che il gruppo guidato da Fabrizio Palermo ha deciso di distribuire ai soci nell’assemblea di fine maggio scorso. In totale quindi, escono dalla disponibilità di Cassa ben 2,5 miliardi, denaro che si sarebbe potuto reinvestire nell’economia reale incentivando un percorso di crescita, sviluppo e occupazione.
IL PARERE DI GALLO
Ma da dove viene questo denaro? E soprattutto è legittimo utilizzarlo per creare un tesoretto da 5 miliardi ai soli fini di evitare le bastonate di Bruxelles? Per Riccardo Gallo, docente di ingegneria chimica, economista ed ex vicepresidente dell’Iri agli inizi degli anni ’90, quei soldi vengono direttamente dalle tasche dei contribuenti. A far ricca Cdp c’è infatti un portafoglio di partecipate caratterizzate da redditività record perché in regime di monopolio. Qualche esempio Snam Rete Gas o Terna. “Se si guardano i dati di bilancio 2017 di Terna (rete elettrica nazionale di trasmissione ad alta ed altissima tensione, trasporto e dispacciamento) e Snam Rete Gas (rete nazionale e regionale di gasdotti ad alta pressione, il valore aggiunto sul fatturato netto è elevatissimo – spiega Gallo – Per Terna siamo all’89%, per Snam Rete gas all’86 per cento, livelli pressoché invariati negli anni e superiori all’81% di Atlantia che pure, nelle autostrade opera in regime di concessione. La redditività dei ricavi è pari al 52% per entrambe le società e superiore al 46%”.
LE PARTITE INDUSTRIALI
In pratica se è vero che Atlantia ha ritorni record, è maggiormente vero che Terna e Snam, che fanno capo a Cdp, hanno introiti ancora più elevati grazie al regime di monopolio in cui operano. “I cittadini pagano le bollette ai distributori retail, che a loro volta sono poi clienti delle società pubbliche che gestiscono le infrastrutture strategiche del Paese”, puntualizza. Ed è “legittimo quindi che un governo utilizzi il denaro della Cassa, in buona parte prodotto grazie a monopoli delle reti, per evitare la procedura d’infrazione senza le riforme strutturali chieste da Bruxelles? “Il governo di turno si assume la paternità dell’intervento pubblico”, spiega Gallo, che evidenzia come finora i vertici di Cdp abbiano tenuto il punto su dossier particolarmente difficili come Alitalia e Ilva, evitando di investire in aziende difficilmente risanabili. “I guai cominciano quando i partiti al governo ci si buttano ed ottengono favori di ogni genere minando e riducendo la capacità di investimento della Cassa nell’economia reale” spiega. Non si tratta di un dettaglio da poco: “L’utile 2017 (2,2 miliardi) non è andato a coprire perdite con investimenti in aziende come Alitalia o Ilva – conclude Gallo – Ma per due terzi (1,3 miliardi) è stato distribuito ai soci invece di essere reinvestito nelle infrastrutture del Paese. Siamo finiti dalla padella nella brace”. Anche perché l’utile 2018 di Cdp (2,5 miliardi, +15,3% rispetto al 2017) finirà infatti tutto in cedole per il Tesoro.