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L’Italia e la Nato tra Afghanistan e Mediterraneo. Parla l’ambasciatore Talò

Il Mediterraneo non preoccupa solo l’Italia. Tra le apprensioni per i missili russi e lo scottante dossier iraniano, l’Alleanza Atlantica non perde di vista le minacce che arrivano da sud, e molto è merito del pressante lavoro svolto dal nostro Paese. Parola di Francesco Maria Talò, rappresentante permanente dell’Italia al quartier generale della Nato e già coordinatore per la cybersecurity alla Farnesina. Formiche.net lo ha intervistato a margine della riunione tra i ministri della Difesa dell’Alleanza Atlantica, conclusasi ieri a Bruxelles, quella in cui Elisabetta Trenta e colleghi hanno accolto il nuovo capo del Pentagono Mark Esper, al debutto ad appena due giorni all’insediamento. Di questo, di Afghanistan, di Space Policy e di molto altro, abbiamo parlato con chi il vertice lo ha vissuto in prima persona.

Ambasciatore, per lei si è trattata della prima ministeriale da quando è arrivato a Bruxelles. Che appuntamento è stato per l’Italia?

È stato sicuramente un vertice importante. Le riunioni tra i ministri di Esteri e Difesa si alternano periodicamente nel corso dell’anno. Sono i momenti di maggior rilievo politico in un’attività sempre contraddistinta dal principio fondamentale alla base della Nato, cioè il controllo politico per un’Alleanza che non è solo militare. Nello specifico, è stata una ministeriale importante, preceduta da un’intensa fase di preparazione con numerose riunioni del Consiglio Nord Atlantico, a cui partecipano i rappresentanti permanenti dei singoli Stati membri e che rappresenta l’organo di continuità decisionale e di scambio di informazioni, così che ogni alleato abbia il controllo della situazione. Siamo arrivati all’appuntamento con una grande mole di carte, per una ministeriale che è stata, da un lato, molto tecnica e complessa su aspetti specifici, dall’altro di grande valore politico su temi molto ampi. In tal senso, mi permetta di evidenziare l’eccezionale lavoro dei bravissimi esperti della nostra delegazione, non solo dei diplomatici, ma anche delle Forze armate, fondamentali nella preparazione dei temi da sviluppare, alcuni dei quali davvero molto tecnici.

C’era attesa sulla linea dell’Alleanza relativa alle violazioni russe dell’Inf. Le parole del segretario generale Jens Stoltenberg e del nuovo capo del Pentagono Esper hanno ribadito la reazione rispetto alle violazioni, ma anche la porta aperta al dialogo.

Sì. Ciò rappresenta perfettamente, in sintesi, la discussione che abbiamo avuto in questi due giorni. Il tema è rilevante poiché siamo a poco più di un mese dalla scadenza del 2 agosto, giorno in cui potrebbe aver termine un trattato che da decenni ha garantito la sicurezza in Europa su determinati sistemi d’arma. Certo, un trattato non raggiunge i suoi fini nella misura in cui non è rispettato da una delle due parti. Nella fattispecie, la sicurezza non è più adeguatamente garantita dalle violazioni che Stati Uniti e Nato hanno constatato da parte della Russia. Ora, bisogna trovare il modo di raggiungere gli obiettivi del trattato anche senza il trattato.

In che modo?

L’auspicio, condiviso nell’Alleanza, è che gli obiettivi di sicurezza possano essere raggiunti con un ravvedimento russo. Se non accadrà, ci ritroveremo in un mondo senza Inf, ma questo non sarà per forza la fine del mondo. Saranno adottate delle nuove misure e si spera di poter costruire un nuovo sistema di controllo. Nel frattempo, continua il dialogo, e questo è un aspetto a cui l’Italia, ma non solo, tiene molto. Per il nostro Paese è fondamentale che siano perseguite entrambe le “d”, deterrenza e dialogo, ed è per questo che abbiamo accolto positivamente la conferma, per la prossima settimana, di una nuova riunione del Consiglio Nato-Russia.

Non c’è il rischio a una nuova corsa agli armamenti?

Intanto aspettiamo di sederci insieme al rappresentante russo e far presente la nostra posizione. Nel frattempo, è importante che la Nato sia rimasta unita. Ora vedremo l’atteggiamento russo. Se non ci sarà una soluzione alle violazioni, andremo avanti in altro modo. È comunque un elemento rassicurante che tra le possibili misure non sia previsto lo schieramento di missili con capacità nucleari da parte degli Stati Uniti.

La priorità italiana in ambito Nato resta comunque il fianco sud, con la richiesta di una maggiore attenzione al Mediterraneo. Il tema è passato in secondo piano rispetto ad altri dossier nel corso della ministeriale?

No. Al contrario, è stato rilevante durante le varie riunioni. D’altra parte, l’azione italiana si sviluppa in questa direzione da diversi anni, con risultati importanti già conseguiti. La strategia complessiva della Nato guarda ora a due grandi linee di preoccupazione: quella tradizionale, derivante dalle preoccupazioni per un vicino rilevante e nucleare, e quella rappresentata da un insieme eterogeneo di rischi e minacce che è il fronte sud. Negli ultimi tempi abbiamo continuato l’azione nei confronti degli alleati e dell’organizzazione e continuiamo a farlo registrando costanti passi in avanti.

Ad esempio?

In questi due giorni, oltre al segretario generale, anche diversi Paesi dell’est hanno sottolineato il rilievo della legittima preoccupazione per le minacce che arrivano da sud. Ci sono stati passi in avanti sulla pianificazione del nostro pensiero, tanto che la valutazione dei rischi per quest’area del mondo sembrano ormai nell’ortodossia della Nato, elemento che fino a due anni fa restava impensabile. Si tratta d’altronde della solidarietà che è alla base dell’Alleanza. Come noi siamo solidali accanto agli alleati nel Baltico (ad esempio con i nostri circa 150 militari attualmente dispiegati in Lettonia), così gli altri Paesi sono solidali rispetto a noi. Anche perché le minacce di cui parliamo vanno ben oltre la dimensione locale. Il terrorismo può arrivare a Londra, Berlino e ovunque. Su questo siamo stati ascoltati e c’è soddisfazione. Resta però un impegno da dover portare avanti in maniera continua e pressante affinché l’Alleanza approfondisca ulteriormente il proprio pensiero strategico circa l’insieme delle minacce più imminenti, quali il terrorismo, che vengono dal sud.

Sull’Afghanistan si è ribadita l’intenzione di restare fino a “quando sarà necessario”. È la stessa linea italiana?

Sì. Ancora una volta si è confermato che non ci saranno sganciamenti unilaterali e c’è un impegno generale a continuare a sostenere la sicurezza e il progresso civile dell’Afghanistan. Lo abbiamo ribadito sia nei contesti più allargati, con i circa quaranta Paesi che partecipano a Resolute Support, sia nei contesti più ristretti con gli Stati protagonisti della missione. Con questi ultimi abbiamo sottolineato in particolare l’importanza di continue consultazioni, anche tenendo conto dei negoziati che sta conducendo con i talebani il rappresentante speciale per la riconciliazione afghana degli Stati Uniti, l’ambasciatore Zalmay Khalilzad, che sosteniamo. Sono negoziati difficili. Anche gli americani comprendono che la possibilità di successo non è elevatissima, vista la necessità di un accordo complessivo e bilanciato. È stato comunque importante ribadire che il primo obiettivo è preservare ciò che abbiamo ottenuto con un’azione pluridecennale, argomento su cui hanno concordato anche in un incontro bilaterale il ministro Trenta e l’omologo afghano, il quale ha espresso enorme gratitudine per la continua e qualificata presenza italiana, espressa anche con il sacrificio di vie umane.

A settembre ci saranno anche le elezioni presidenziali in Afghanistan.

Esatto, e ciò rende ancora più delicato il momento attuale. Oltre al processo di pace portato avanti con i talebani, e oltre alla necessità che esso sia sempre più intra-afghano, procede il processo politico interno, e ciò resta comunque un fenomeno eccezionale per un Paese non certo stabile e sicuro, ma comunque profondamente diverso e migliore rispetto al 2002. Considerando i negoziati e le elezioni, dobbiamo tenerci pronti ai possibili sviluppi e intanto continuare con determinazione il nostro impegno in Afghanistan. Proprio per questo la consultazione tra gli alleati è fondamentale, poiché permette di decidere cosa fare insieme e come rispondere a ogni possibile evoluzione della situazione.

Tra le novità della ministeriale c’è stato il debutto del neo segretario Usa Mark Esper, arrivato anche con l’obiettivo di spingere gli alleati ad aderire alla linea americana sull’Iran. C’è riuscito?

Il tema non era previsto all’ordine del giorno, anche perché l’Iran rappresenta un’area geografica e una questione che non rientra nell’attività della Nato. Tuttavia, essendo la ministeriale un foro di consultazione transatlantica tra allegati, Esper ci ha riferito delle preoccupazioni americane e delle conseguenti posizioni sul dossier. Questo è stato. Poi, diversi Stati hanno condiviso le preoccupazioni. La linea comune è apparsa comunque quella di evitare ulteriore escalation e la crescita potenziale di crisi. Ciò è apparso correttamente anche dalle parole di Stoltenberg, sebbene l’aspetto non sia stato al centro dell’appuntamento.

Come ha visto il debutto di Esper, arrivato a Bruxelles dopo appena 24 ore dal suo insediamento al Pentagono?

La sua presenza è stata sicuramente un messaggio positivo e apprezzato. Il nuovo segretario ha dimostrato attenzione nei confronti dell’Alleanza, dando anche dimostrazione di conoscere davvero bene i meccanismi dell’organizzazione. Per noi è stato bello soprattutto il riferimento, nel ricordare il servizio svolto in Europa, all’esperienza avuta a Vicenza quando era un giovane ufficiale. Lo ha ribadito anche in un caloroso incontro con il ministro Trenta. L’Italia è stato l’unico Paese che ha menzionato e ciò denota un elemento di calore che testimonia come il legame tra noi e l’America sia forte, personale e strutturale.

Tra le novità, anche l’approvazione della prima Space policy della Nato. Che segnale è? Lo spazio sarà sempre più militarizzato?

Non credo che sia corretto di parlare di militarizzazione dello spazio. Sul tema, da parte nostra, c’è stata anzi la sottolineatura della necessità di tener conto del diritto internazionale, da rispettare anche in questo ambito. D’altra parte, la Space policy rappresenta un’evoluzione naturale già prevista. Non a caso il cyberspazio è considerato la quinta dimensione, preceduta da terra, mare, cielo e proprio spazio extra-atmosferico, il quale è da tempo un terreno di confronto, ospitando sistemi di osservazione e comunicazione. L’obiettivo della Nato è piuttosto quello di tener conto dello sviluppo tecnologico in atto. Ciò per l’Italia rappresenta un’occasione importante. Il nostro Paese può avere molto da dire con i propri centri di ricerca e la propria industria.

(Foto: ministero della Difesa)



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