Skip to main content

Ecco la rivoluzione digitale che cambierà il modo di lavorare

Condivisione e risultato, questo è il binomio vincente alla base delle moderne organizzazioni del lavoro plasmate dalla cultura e dalla tecnologia digitale. Condivisione nel senso di un rovesciamento del paradigma profondamente gerarchico, rigido e a compartimenti stagni tipico di un modello di produzione precedente, e risultato, nel senso che la valutazione (e la remunerazione?) del lavoro non si misura più con la presenza fisica in ufficio e con il “cartellino” che certifica un rigido orario di lavoro, ma appunto con i risultati del proprio lavoro.

I nuovi processi aziendali, i modelli di business e l’organizzazione delle produzioni materiali e immateriali, grazie alle nuove tecnologie, stanno virando verso un approdo profondamente collaborativo in un contesto di lavoro, produttivo e economico di tipo globale. L’economia digitale, infatti, ha cancellato i confini geografici e trasformato anche il concetto standard di separazione tra orario di lavoro e di non lavoro.

Possiamo lavorare, in teoria, ovunque e con chiunque nel mondo e a qualsiasi ora! I tradizionali concetti di spazio del lavoro e dei tempi di lavoro sono saltati. Si può dire che la rivoluzione digitale nel mondo del lavoro ha prodotto l’abbattimento di molti “confini”: non solo quelli territoriali, quindi, ma anche quelli del luogo e dei tempi di lavoro. Con conseguenze ancora poco comprese e poco studiate.

Certo, questo modello non vale per tutti gli ambiti produttivi e soprattutto per tutte le tipologie di mansioni e mestieri, tuttavia è il modello di organizzazione del lavoro che la tecnologia digitale sta imponendo a un numero sempre più elevato di aziende, nonostante le tante resistenze, che pur ci sono, soprattutto di tipo culturale. Questa storia della collaborazione e della condivisione non è vista molto di buon occhio da una buona fetta di management che vede in questo, la perdita di un potere di “esclusiva”, gerarchico e in alcuni casi anche di status e di autorevolezza. La strada dell’innovazione, però, volenti o nolenti, è tracciata.

La tecnologia è un fattore determinante per raggiungere tutti questi obiettivi, ma per far sì che crei vera innovazione di processo serve un nuovo approccio culturale e l’adozione di quello che si chiama “trusted model”: non più cultura del lavoro basata sulla presenza fisica in ufficio, quindi, ma una cultura orientata ai risultati. I nuovi talenti sono persone che appartengono alla Generazione Y: non hanno mai vissuto senza un computer, senza un telefono cellulare, Internet ha sempre avuto un ruolo rilevante nella loro attività accademica, professionale e relazionale. È ancora una volta un problema culturale: vietare l’accesso ad Internet durante l’orario di lavoro significa depotenziare in modo significativo la sua capacità di portare il messaggio dell’azienda all’esterno. L’orientamento ai risultati, la possibilità di lavorare in mobilità, il flexible work, la certezza di poter continuare ad utilizzare gli strumenti social preferiti sono destinati ad acquisire sempre maggiore importanza per attrarre e mantenere talenti”. Così si è espresso David Bevilacqua, vicepresidente di Cisco per il sud Europa.

Al Digital for Job che si è svolto a Torino il 3 e 4 maggio scorsi, il tema del nuovo modello di organizzazione del lavoro scaturito dalla rivoluzione digitale, è stato dibattuto da autorevoli manager e analisti nel convegno di apertura dal titolo eloquente: “L’intelligenza collaborativa e la social organization”. Il confronto dei relatori si è sviluppato intorno al tema del cambiamento dell’organizzazione del lavoro grazie all’apporto delle nuove tecnologie e dei social media. Le tecnologie social e 2.0 stanno rivoluzionando i tradizionali modelli di organizzazione verso uno schema fondato prevalentemente sul concetto di collaborazione: “stiamo passando da un modello di tipo gerarchico, in cui pochi comandano e molti eseguono, ad uno di tipo più collaborativo, partecipativo e meritocratico che rovescia la tradizionale impostazione”, ha spiegato Marco Minghetti, direttore scientifico per il Management 2.0 di Gso.

L’aspetto interessante, tuttavia, del convegno è stato l’atteggiamento di alcuni relatori che non si sono limitati a decantare le qualità palingenetiche delle nuove tecnologie come una sorta di “pasdaran” ideologizzati del credo digitale, ma hanno sottolineato anche i punti critici di una simile innovazione. Tra questi, proprio Davide Bevilacqua, top manager di Cisco. “Se questo è il modello aziendale verso il quale stiamo andando e che evidenzia molti aspetti positivi, – sottolinea Bevilacqua – è utile riflettere anche sui possibili rischi che un modello di questo tipo potrebbe comportare. È saggio aderire all’idea del lavoro da remoto e collaborativo non in termini ideologici, ma con la giusta dose di moderazione e concretezza”.

In altre parole, il top manager di Cisco sostiene che il modello ideale di organizzazione del lavoro futuribile è un mix di lavoro da remoto (da casa oppure ovunque si è connessi tramite i propri dispositivi mobile e portatili) e di presenza in ufficio. Immaginare una visione spinta del lavoro che potrebbe portare alla scomparsa dell’ufficio fisico e al prevalere del remote working è impensabile, come è impensabile il contrario. La verità, come spesso accade, quindi, è nel mezzo.

Un altro rischio – sempre secondo David Bevilacqua – è il venir meno di confini stabiliti tra momenti di lavoro e di vita aziendale con quelli necessari della vita privata. La possibilità di essere sempre connessi comporta, infatti, anche la disponibilità a lavorare sempre, anche in momenti prima impensabili, e di conseguenza ad un aumento improprio della produttività. È necessario, in questo senso, rivedere e aggiornare la legislazione del lavoro in funzione di un modello produttivo e del lavoro in profonda trasformazione”.

In sostanza, quindi, andiamo convinti verso un modello di organizzazione del lavoro di tipo collaborativo, social, informale e flessibile, ma in modo consapevole e con un’attenzione particolare anche alle controindicazioni, che pure ci sono.


×

Iscriviti alla newsletter