Non sappiamo ancora se la candidata alla presidenza della Commissione, la tedesca Ursula von der Leyen, riuscirà ad avere stasera i 374 voti del Parlamento di Strasburgo necessari per la sua elezione. Fatto sta che il discorso con il quale si è presentata stamane ai deputati neoeletti segnala lo sforzo di dare una ripulitura all’immagine piuttosto grigia della commissione consegnataci dal suo predecessore. Per fare questo, e soprattutto per avere i voti delle altre forze “europeiste”, apre “a sinistra” come mai aveva fatto prima una leader dei popolari. Sia alla sinistra più o meno classica dei socialisti, sia a quella postmoderna rappresentata dai verdi e dai cosiddetti “liberali” macroniani.
L’IMPEGNO DEL SALARIO MINIMO
Nel primo discorso, dopo aver fatto omaggio formale al modello renano dell’“economia sociale di mercato”, la candidata si è impegnata a lavorare affinché a tutti sia garantito un “salario minimo” attraverso le ormai desuete “contrattazioni collettive” con la partecipazione dei sindacati. Ottimo proposito, ma la questione è di capire come si potrà garantire, in tempi di globalizzazione, e quindi di concorrenza più o meno sleale da parte dei paesi emergenti, un buon livello economico a tutti. Potrà farcela la vecchia Europa da sola e con i vecchi strumenti della socialdemocrazia? Più pronunciato è stato invece l’impegno dell’ex ministro tedesco della difesa per l’ambiente e il cambiamento climatico.
IL TEMA ECOLOGICO
Come è noto, quello ecologico è un tema molto sensibile, anche a livello di una certa opinione pubblica media occidentale. È un tema a rischio, però, perché, alla giusta esigenza di salvaguardare il nostro habitat, spesso si sostituisce un ideologismo che, nella sua astrattezza, converge quasi naturalmente con le pulsioni razionalizzatrici e ingegneristico-sociali che, ad avviso di chi scrive, sono proprie dell’ Unione europea. Il passaggio sulla deadline del 2050 come data in cui il nostro dovrebbe diventare il primo continente “climaticamente neutrale” è significativo di questa mentalità.
LA PARITÀ DI GENERE
Anche sulla questione della “parità di genere”, a cui pure viene strizzato l’occhio, VdL mostra un’idea dirigistica di non poco conto: “Se i governi non presenteranno un numero sufficiente di candidati donne – ha detto – non esiterò a chiedere altri nomi”. È evidente che, in quest’ottica di chiusura ai partiti “sovranisti”, il tema della emigrazione, che pure dovrebbe essere centrale per tutti perché tocca nientemeno che quello dell’identità del nostro continente, è affrontato in modo vago. L’accenno alle vite in mare da salvare è direi scontato, così come quello della lotta a trafficanti e clandestini. Meno evidente è invece l’impegno, che pure Matteo Salvini ha giudicato in parte “interessante” in una dichiarazione a caldo, a fermare o controllare o gestire questo fenomeno epocale, proiettandoci casomai con tutta la nostra forza in Africa per fare accordi e creare partnership.
I PARTITI SOVRANISTI E LA LEGA
Il capogruppo leghista Marco Zanni ha fatto presente (quasi un avvertimento) che, senza un impegno concreto su questo tema e una politica più solidale con l’Italia, la Lega darà battaglia per tutta la legislatura. Solo i partiti “sovranisti” possono evitare, sempre secondo Zanni, quello spostamento a sinistra che finirebbe per costare caro ai popolari sulla lunga distanza.
L’immagine che comunque viene fuori dal discorso di VdL è quella di una Europa chiusa in sé stessa, ma con la pretesa di essere sempre più un eldorado. Come potrà confrontarsi con le grandi forze emergenti, a cominciare da quelle asiatiche, un continente come il nostro così “presuntuoso” e poco realista (anche in tema di difesa e sicurezza)?