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F-35 e Turchia. Così Ankara reagisce alla decisione Usa

“Un danno irreparabile alle nostre relazioni strategiche”. Come prevedibile, ad Ankara non hanno preso bene l’ufficializzazione dell’estromissione dal programma F-35 arrivata nella serata di ieri dalla Casa Bianca, ripercussione inevitabile dopo la consegna del sistema russo S-400. Con una nota piccata, il ministero degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha invitato gli Stati Uniti “a correggere questo errore”. Intanto, il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg prova a rassicurare sulla tenuta dell’Alleanza, ma ribadisce il richiamo all’ordine alla Turchia.

CRISI TOTALE

Per ora la crisi è totale e le distanze incolmabili. Nonostante la determinazione nel perseguire l’ottenimento dell’S-400, Ankara ha sempre ritenuto altrettanto strategica la partecipazione al programma F-35, puntando sull’avanzato caccia di quinta generazione (previsto in 100 esemplari) per il futuro del proprio potere aereo, peraltro connesso alle ambizioni di potenza più che regionale. Non appaiono convincenti le alternative, né quelle russe (sbandierate a più riprese dai media di Mosca a diffusione globale), né quelle interne.

NESSUNA ALTERNATIVA ALL’F-35

Il progetto TF-X per il nuovo jet prodotto dall’industria nazionale, presentato in grande stile al salone parigino di Le Bourget, non garantisce tranquillità alle Forze aeree turche nel caso di uscita dal Joint Strike Fighter. Si tratta di un programma di sviluppo ancora nelle fasi iniziali, tra l’altro considerato particolarmente costoso in un momento in cui l’economia turca preoccupa tutto il mondo finanziario. Punta al primo volo nel 2025 e ad entrare in servizio nel 2028, in ogni caso in una fascia inferiore rispetto al già pronto velivolo di quinta generazione.

I MARGINI PER UNA SOLUZIONE

Forse su questo gli Stati Uniti potrebbero puntare per cercare di risolvere la questione. I margini sono risicati, ma comunque presenti. Dopo la nota ufficiale della Casa Bianca, ieri, il sottosegretario alla Difesa per le Acquisizione e il mantenimento Ellen Lord specificava che l’uscita turca dal programma sarà completa da marzo 2020. Certo, in questo tempo sarà richiesto al governo di Ankara un passo indietro sull’S-400 (quantomeno sulle sue modalità di impiego e sulla sua collocazione), ad ora tuttavia non visibile, nonostante sul tema si sia manifestato quantomeno un tentennamento (qui un approfondimento).

IL RUOLO DI TRUMP

Lo stesso Donald Trump era sembrato voler lasciare qualche spiraglio di recupero dei rapporti con un alleato storico e strategico. In tal senso, qualche giorno fa tornava a evidenziare i “buoni rapporti” con l’omologo turco Recep Tayyip Erdogan, una sottolineatura che è arrivata spesso anche dai rappresentanti del governo di Ankara. Ma il tycoon ha fatto anche di più. Nell’annunciare lo stop alle consegne di F-35 (poi seguito dalla nota ufficiale), il presidente ha attribuito all’amministrazione Obama la colpa di aver spinto la Turchia ha scegliere l’S-400, avendogli rifiutato la vendita dell’alternativa americana, il Patriot. Una de-responsabilizzazione del governo turco che ha il sapore della una mano tesa a Erdogan. Certo, anche qualora si offrisse l’opportunità politica, resterebbe il nodo operativo.

IL FRONTE NATO

Difatti, tra gli aspetti che preoccupano maggiormente ci sono quelli legati al fronte Nato. L’Alleanza, a partire dal segretario generale Jens Stoltenberg, ha fatto fronte comune con gli Stati Uniti nello strappo con la Turchia sulla questione S-400. I rappresentanti di Ankara sono apparsi ai margini. Il sistema S-400 non può essere inter-operato con gli assetti della Nato, né inserito all’interno di un sistema di comando e controllo comune, il tutto proprio mentre l’Alleanza riorganizza la sua postura militare sull’interoperabilità. In più c’è il rischio che l’assetto russo venga utilizzato come assetto spia per carpire i segreti di altri armamenti, a partire dall’F-35 (che la Turchia vorrebbe acquistare in 100 unità), mandando informazioni riservate direttamente a Mosca sull’avanzato velivolo di quinta generazione. Anche se operato esclusivamente dai turchi, è difficile pensare che non possa conservare la possibilità di interagire con la casa madre.

IL TENTATIVO DI STOLTENBERG

Da Colorado, dove ha partecipato al forum annuale sulla sicurezza dell’Aspen Institute, Stoltenberg ha provato comunque a rassicurare sulla tenuta dell’Alleanza. “Le relazioni tra la Nato e la Turchia vanno oltre il programma di sviluppo dei caccia multiruolo F-35”, ha detto con riferimento  ai vari contributi turchi agli sforzi dell’Alleanza, a partire dalla sconfitta dello Stato islamico in Siria che “non sarebbe stata possibile senza il contributo della Turchia”. Inoltre, ha rimarcato, le forze armate turche “contribuiscono a diverse missioni e operazioni, dal Kosovo all’Afghanistan”. Resta comunque il richiamo all’ordine: “La Turchia è stata uno storico e fidato partner e un alleato della Nato per oltre 65 anni, ma accettare gli S-400 significa minare gli impegni intrapresi da tutti gli alleati Nato ad abbandonare i sistemi russi”. Su un aspetto sembra si possa lavorare, cioè sull’esclusione del sistema russo da qualsiasi ipotesi di integrazione con gli assetti alleati. “Il sistema di difesa aerea e missilistica della Nato riguarda la condivisione di immagini radar, il pattugliamento aereo congiunto, le capacità messe a sistema; la Turchia – ha spiegato Stoltenberg – non ha mai chiesto di integrarvi gli S-400”. L’esclusione dal programma? “È una cattiva notizia per tutti noi”.

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