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Buon compleanno Mattarella. Il Presidente che ci sorprenderà (ancora)

Di Paola Severini Melograni

È ormai chiaro che, molto più di chi lo ha preceduto, ha deciso di rivolgersi al Terzo settore e ha avuto il coraggio di battersi per far comprendere che i buoni sentimenti non sono retorica ma ci permettono di sentirci comunità, rispettosi gli uni degli altri. Ricucire una comunità dove di comune sembrava essere rimasto solo l’astio e la rabbia non è un’impresa semplice.

Secondo i sondaggi, la fiducia che gli italiani nutrono nei suoi confronti, è più alta rispetto alle altre figure istituzionali: Mattarella è considerato indispensabile anche da coloro che, ai tempi della sua elezione, lo avevano avversato. Il Presidente non si è adeguato alla figura che qualcuno magari voleva che rappresentasse ma sta lavorando affinché la nostra gente, ritrovi, attraverso il suo modo di agire, quello che possiamo definire il meglio, il bene, il bello del Paese, ciò che è inespresso, che sembrava tralasciato o dimenticato, sottovalutato. Spesso assistiamo alla ascesa di un partito rimasto per anni in posizione di stallo. Di solito l’ascesa non è determinata dal fatto che le masse abbiano modificato le loro aspirazioni, per avvicinarsi a quel partito, ma dal fatto che il partito ha mutato volto per meglio corrispondere alle aspirazioni della masse, come nel 1932 (Melograni, Saggio sui Potenti).

Il paragone non è poi così azzardato se si considera l’avvento dei sovranismi e degli egoismi nazionali in Europa, e il ritorno dell’idea dell’apartheid negli Usa. E così pure è simile e pericolosa la mitizzazione della figura del capo, vista come risposta alle insicurezze generate dalla crisi mondiale: la rassicurazione creata dalla figura del capo è sempre una rassicurazione fragile e precaria e produce effetti simili a una droga. Le epoche dei grandi capi sono epoche di grandi guerre, di grandi persecuzioni, di grandi sciagure. La fine dei rapporti fideistici aiuterebbe a diffondere una visione del mondo più aderente alla realtà e renderebbe più saldo quel rispetto verso la diversità che costituisce il fondamento della democrazia. Il rispetto, anzi l’amore nei confronti della diversità, e dei diversi, è una delle caratteristiche che contraddistinguono questo settennato. Il cardinal Tonini, scriveva, definendo la storia vissuta dai siciliani negli ultimi decenni: quando dico “realtà” penso alla lunga, vera e propria interminabile passione che la Sicilia sta, infaticabilmente vivendo (lettera alla Diocesi di Palermo). Questa passione, vissuta sulla pelle, ha lasciato in lui cicatrici profonde e ha fatto sì che la vocazione al trasferimento di modelli alle nuove generazioni divenisse la vera priorità: raccontare con intensità gli “eroi del nostro tempo”, riconoscerli, farli diventare necessari all’Italia.

Il Presidente sa quanto sia essenziale aiutare le nuove generazioni a rendersi conto di cosa li aspetta, e nello stesso tempo, non con l’atteggiamento di molte istituzioni che concedono la “medaglietta” (una onorificenza e un mezzo toscano non si negano a nessuno diceva Vittorio Emanuele II) ma seguendo un percorso nitido e chiaro, quello di chi ha scelto di farsi maestro, senza la maiuscola dei direttori d’orchestra, ma con la minuscola dell’insegnante, che prende per mano gli alunni più indisciplinati e li fa ragionare, li fa crescere. L’esperienza attraverso la quale si forma la maturazione degli uomini e delle nazioni si vive, non si insegna, ma per l’uomo e per la vita umana non c’è in verità, nulla di più grande dell’intuizione e dell’amore, come scrive il suo amato Maritain. L’unica lezione possibile da parte del Primo italiano è questa, perciò sono certa che ci sorprenderà ancora.

 

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