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Italia, superpotenza mondiale della sanità (e delle disuguaglianze). Parla Argento (CulturaItaliae)

sanitàIl Servizio sanitario nazionale italiano offre a tutti, a prescindere da qualsiasi requisito, un’assistenza di assoluto livello e qualità. Il principio dell’universalità fa guadagnare al nostro sistema sanitario il titolo di superpotenza mondiale della sanità. Il vero limite sta nel fatto che i livelli di prestazione e di qualità delle prestazioni non sono uniformi per tutti i pazienti. Di queste problematiche abbiamo parlato con l’avvocato Angelo Argento, presidente di CulturaItaliae, associazione culturale partecipata dagli interessi eterogenei, in occasione del progetto “In scienza e coscienza”, nato dalla collaborazione fra Fondazione Roche e Formiche, con l’obiettivo di interrogarsi – e interrogarci – sul dibattito in merito alla libertà prescrittiva del medico e ai vincoli economici imposti dalla limitatezza delle risorse e dalla necessità di Regioni e aziende ospedaliere di gestire il contenimento della spesa sanitaria: come bilanciare le migliori cure con la sostenibilità finanziaria?

 

Presidente, quali limiti normativi e finanziari ostacolano la libertà prescrittiva del medico e in che misura questi finiscono per erodere l’essenza di questa libertà?

Posso rispondere a questa domanda con una sola parola: l’appropriatezza. Il problema è come mettere in equilibrio le due esigenze e questo dipende esclusivamente dalla capacità del medico di prescrivere ciò che ritiene, non si può vincolare più di tanto. L’oggettivazione delle prescrizioni mediche, così come le indicazioni farmaceutiche, stanno sempre più evolvendo, con le nuove tecnologie, verso una farmacopea molto soggettiva; si parla addirittura di differenza di prescrizione medica tra genere femminile e genere maschile. Non si può non tener conto del fatto che la nuova medicina sta evolvendo verso un intervento molto puntuale, verso le condizioni specifiche del singolo paziente. Questo significa che il rapporto tra appropriatezza e prescrizione medica diventa solo un tema di natura economicistica e finanziaria per giustificare il contemperamento della spesa che diventa difficile da sostenere anche per l’invecchiamento della popolazione e l’aumento della popolazione capace di richiedere cure sanitarie. Quando a potersi permettere il lusso di alcuni interventi erano in pochi il problema non si poneva, oggi diventa sempre più difficile e non è solo un problema italiano, ma mondiale.

Che tipo di cultura della sanità abbiamo in Italia? E qual è il grado di alfabetizzazione sanitaria dei pazienti? In buona sostanza, i pazienti conoscono i loro diritti?

Abbiamo oggi una maggiore consapevolezza per via delle campagne di informazione, svolte in questi decenni, sui diritti dei pazienti. E di questo bisogna ringraziare le tante associazioni di volontariato che si sono spese in questi temi. La prospettiva ora è un po’ ribaltata, tanto che i pazienti, soprattutto quando non si trovano a relazionarsi con un medico con cui hanno un rapporto di fiducia come il medico di famiglia, spesso fanno ricorso alle informazioni presenti online. Il risultato negativo è che ci sentiamo un po’ tutti medici di noi stessi e intendiamo porre la nostra conoscenza limitata sullo stesso piano di quelle di chi deve curarci. Per quanto riguarda la consapevolezza dei diritti e dei doveri possiamo dire che esiste ed è molto forte. In realtà il lavoro da fare è riuscire a contemperare i diritti dei malati nell’essere tutelati nei momenti più fragili della propria esistenza, rispetto alle necessità di una struttura pubblica che quasi gratuitamente fornisce assistenza a centinaia di migliaia di persone, in maniera adeguata rispetto ai parametri di quantità e qualità, in tutta Italia.

Big data: rischi e opportunità. Quanto rischiano di ledere la privacy dei pazienti e quanto, invece, di sostenere e migliorare il sistema del Sistema sanitario nazionale?

La profilazione dei soggetti che si affacciano al sistema dei big data non riguarda solo i pazienti ma tutti, senza distinzione. Il tema vero è che tutti noi facciamo una scelta, più o meno consapevole, quando mettiamo a disposizione i nostri dati online. Il focus va posto sulla fragilità da cui sono caratterizzate le persone malate che si ritrovano ad essere, inevitabilmente, più disponibili a concedere dati personali se in ballo c’è la loro stessa vita. Ribaltando la questione dal lato delle istituzioni occorre, per un verso, rendere i cittadini sempre più consapevoli di ciò che significa acconsentire alla profilazione, dall’altro costruire una logica di contemperamento tra l’interesse del Servizio sanitario nazionale di verificare quali sono gli effetti di una cura, anche su grandi numeri, e la gestione privatistica di questi dati. Il tema è tutto lì.

Quali sono le possibili evoluzioni stante, da un lato le decurtazioni della spesa sanitaria dovute alle necessità di spending review, e dall’altro alle maggiori esigenze relative, anche, a un invecchiamento costante della popolazione e dunque all’aumento degli stati di lungodegenza?

Il ragionamento è molto banale e si riassume in due parole: costi standard. In Italia esiste un dualismo tra centralismo del ministero della Salute con poteri fortemente limitati, tendenzialmente di controllo e indirizzo, e quello specifico delle Regioni. Se non si fa una politica seria e strutturata di standardizzazione, non solo del costo ma di erogazione, in termini di quantità e qualità, da parte del servizio pubblico in tutta Italia questo tema resterà sempre in ballo e sarà sempre più grave in relazione all’invecchiamento della popolazione e all’aumento delle prestazioni.

Come si coniuga la libertà prescrittiva con le necessità di contenere la spesa pubblica? E che ruolo può giocare il diritto del medico all’obiezione di coscienza?

Anche in questo caso la risposta è l’appropriatezza. Per quanto riguarda l’obiezione di coscienza, io credo che non dovrebbe essere un diritto se si esercita la propria attività all’interno di una struttura ospedaliera statale. Chi esercita una funzione di natura pubblica pagata dallo Stato, non dovrebbe avere diritto a obiettare rispetto a norme statali. Soprattutto quando c’è il rischio per la salute della persona malata. Diciamo che la legge dello Stato dovrebbe prevalere sulla legge morale, il dilemma di Socrate, insomma.

La cultura della sanità italiana è di livello europeo? Quali sono i benchmark internazionali ai quali l’Italia dovrebbe guardare, e quali elementi virtuosi, invece, dovrebbero “copiare” gli altri Stati all’Italia?

La cultura della sanità italiana non è di livello europeo, è di livello mondiale, siamo una superpotenza. Noi siamo benchmark di livello mondiale, tanti sono gli Stati che guardano a noi. Non accettiamo insegnamenti e lezioni da nessuno perché abbiamo una capacità, per ciò che riguarda i servizi pubblici e privati e i rapporti medico-paziente, che non sono riscontrabili in tutto il resto del mondo. Questo lo si capisce solo nel momento in cui si ha un problema e si riceve gratuitamente una cura che può arrivare a costare anche 500-1000 euro a singola somministrazione. Basti pensare che un trapianto costa centinaia di migliaia di euro, ma da noi è gratuito. Certo questo ragionamento va fatto sempre tenendo presente quale sia lo stato della qualità. Il problema, ancora una volta, è interno e di standardizzazione rispetto al territorio nazionale. Lo sforzo deve essere volto a fornire lo stesso livello di servizio da Aosta a Ragusa.

#inscienzaecoscienza



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