Qualche settimana fa, in una convention dei suoi al Teatro Brancaccio, Giovanni Toti aveva preannunciato una “rivoluzione d’ottobre” in Forza Italia. A quanto sembra, invece, la rivoluzione sarà anticipata alla settimana prossima e prenderà le forme di una scissione.
Sarà una “rivoluzione di luglio”, come si conviene ad un movimento che vuole essere liberale. E Toti stesso sarà ovviamente il nuovo Luigi Filippo. Cosa lo abbia spinto a questa accelerazione, non è difficile capirlo. E anzi, che sarebbe andata a finire così lo si intuiva già dai giorni del Brancaccio. Dopo aver compiuto la scelta di nominarlo coordinatore nazionale, ma affiancandogli il suo opposto politico, cioè la radicalmente “antisovranista” Mara Carfagna, Silvio Berlusconi ha utilizzato la tattica che più gli riesce con chi si dà troppo da fare nel partito che giudica di sua proprietà: “troncare, sopire”, per dirla con il padre provinciale di manzoniana memoria. Alla roadmap tracciata dal governatore della Liguria, egli non ha fatto infatti altro che rispondere rallentando o rinviando. Il tavolo delle regole”, ad esempio, non è mai partito.
Quanto poi all’idea di “primarie vere”, da tenersi appunto in autunno, beh… non se ne parli nemmeno! È evidente che, ammesso e non concesso che l’ex Cavaliere decida un giorno di far gestire la sua creatura da qualcun altro, certo vorrà essere lui a scegliere il nome e a preservarsi anche l’ultima parola su ogni decisione politica di rilievo. Un uomo d’azienda abituato a comandare, e che ha creato di fatto un “partito azienda”, non potrebbe fare altrimenti. Altro che presidenza d’onore! Se poi l’ “azienda” fallisce, o meglio implode, come potrebbe succedere a Forza Italia, fa niente: i “profitti” già ci sono stati e al vecchio fondatore un posto nella storia nessuno mai più lo toglierà! (E sarà anche un posto di segno positivo, checché ne pensino i detrattori duri a morire). Ma il problema, in tutta evidenza, è oggi politico. E a Toti va dato atto di aver capito che a destra c’è uno spazio moderato-liberale del tutto sguarnito e che, soprattutto, è composto da persone che non capiscono la scelta di stare all’opposizione e tenersi fuori a livello nazionale dalla stanza dei bottoni.
C’è, soprattutto, un blocco sociale di borghesia produttiva che Matteo Salvini fa fatica a rappresentare: che accetta, e anzi incoraggia, le politiche securitarie e persino un certo “euroscetticismo” dell’alleato leghista, ma non ne condivide scelte come il “reddito 100” o comunque assistenzialistiche e protezionistiche. Anzi, pensa che, con una buona iniezione di temperato liberismo, si possa contribuire a rendere più forte un Salvini a cui, al contrario di Berlusconi, riconoscono la leadership (conquistata sul campo) del centrodestra. I sondaggi sembrano dare ragione a Toti, perché segnalano sia un forte calo di consensi per Forza Italia (vicina ormai all’irrilevanza) sia un gradimento personale in forte ascesa per lui stesso. Toti, subito dopo aver annunciato l’addio a Forza Italia via Facebook (sembra lunedì prossimo, cioè proprio nell’anniversario della rivoluzione orléanista), creerà una serie di circoli locali del suo movimento per decidere solo successivamente se aderire a Fratelli d’Italia (che non va dimenticato fa parte del gruppo europeo dei conservatori) oppure, come sembrerebbe più logico e probabile, fondare un proprio partito. Nell’uno o nell’altro caso, l’alleanza con Salvini puntellerà l’operazione e permetterà forse alla destra di superare finalmente quella contraddizione fra governo nazionale e locale che ora la contraddistingue.