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Crisi, crescita e PMI: è stato un bene riformare il TFR?

Tutti parlano di recessione. Qualcuno parla di terza guerra mondiale: quello economica, tecnologica e delle valute. Huawei, 5G, “the new cold war”, la nuova guerra fredda tra USA e Cina. Un orizzonte globale di depressione e deglobalizzazione complessiva.

Il nuovo Muro di Berlino digitale. Da una parte, gli standard cinesi e la loro evoluzione tecnologica di medio-lungo periodo, Dall’altra, le grandi Big Tech americane con le loro architetture presunte aperte ma, in realtà votate alla massimizzazione del profitto. Ecco che, allora, sembra una news assoluta l’appello di oggi contro il profitto dei manager di una serie di top corporation americane.

Bello, senza dubbio, quello che dicono in molti. Ma il problema vero, diciamolo chiaramente, non è diminuire del xx per cento i profitti o la capitalizzazione delle grandi corporation globali, ma aumentare gli orizzonti di crescita finanziaria e dimensionale delle PMI, il vero carburante del sistema economico mondiale. In un mondo a rete, in un sistema a galassia, non sono le grandi imprese a condurre la danza ma le piccole che diventano medie o vengono comprate dalle grandi che, a causa degli equilibri istituzionali o organizzativi, non riescono più a fare l’innovazione che vorrebbero.

Ecco perché il tema della crescita delle PMI italiane è un orizzonte strategico. Perché è un mondo di tante PMI, quello globale ma anche del nostro Paese, che ha bisogno di una forte leva bancaria perché è cresciuto in modo straordinario negli ultimi 40 anni ma solo sul piano individuale, senza fare rete, senza fare squadra. Come dire: facciamo i micro-distretti sì, ma solo per convenienza di efficientamento individuale, non per una logica di crescita collettiva che faccia crescere il Paese.

E questo, in un’Italia nascosta e seduta che ha bisogno di continui finanziamenti dal sistema bancario per sopperire alla mancanza cronica di capitale proprio, ha aggravato la carenza di liquidità causata dalla crisi degli ultimi 10 anni. Una carenza strategica che ha generato una significativa diminuzione degli investimenti privati di tutte le nostre imprese. Tutta colpa degli imprenditori, quindi? Forse sì, ma anche no. La verità sta sempre nel mezzo anche perché sono state anche alcune scelte dei Governi del nostro Paese che hanno contribuito ad abbattere gli investimenti delle nostre PMI.

Ricordiamone una in particolare. Non dobbiamo infatti dimenticare che, a partire dal 1 gennaio 2007, la riforma del TFR (trattamento di fine rapporto) ha sottratto alle nostre imprese più piccole un’importante forma di autofinanziamento perché, dopo tale provvedimento, la destinazione del TFR alla previdenza complementare era praticamente irrevocabile, salvo decisioni consapevoli e personali.

Tutto questo, a lungo andare, ha diminuito in maniera importante la capacità di investimento delle nostre PMI. Facciamo chiarezza: il fine del provvedimento non era sbagliato perché avrebbe dovuto comportare, nelle intenzioni del legislatore, un riposizionamento (grazie alla possibilità “diabolica” del silenzio-assenso) verso la previdenza integrativa delle risorse del TFR. Importante conseguenza ipotizzata: minori rischi, maggiori rendimenti e, soprattutto, una più ampia ed efficace partecipazione dei fondi stessi alla crescita dimensionale e finanziaria delle nostre PMI.

E invece? Invece, non è successo niente di tutto questo. I fondi di previdenza integrativa hanno accumulato grandi risorse e le hanno investite nell’economia finanziaria dei fondi di investimento internazionali. È stata una strategia consapevole? Forse no, ma comunque figlia di una misura che ha generato un’eterogenesi dei fini.

In altri termini, mentre il legislatore cercava di convogliare i flussi verso i fondi pensione chiedendogli di assumere un ruolo trainante nello sviluppo delle nostre PMI e dell’economia reale, la realtà concreta si dimostrava completamente diversa. I fondi pensione non avendo skills e professionalità in grado di trovare segmenti trasparenti di PMI sulle quali investire, riposizionavano i loro investimenti verso il sistema finanziario tradizionale.

Un mondo che, anche grazie a questi volumi aggiuntivi di raccolta nel nostro Paese, generava spesso rendimenti leggermente migliori per i lavoratori ma, nel contempo, prosciugava il polmone di possibili investimenti per la crescita delle nostre PMI.

Cosa fare allora? Un cosa molto semplice: riattivare il meccanismo che tratteneva il TFR in azienda, legandolo ad un orizzonte temporale di almeno dieci anni e a rendimenti minimi bassi ma garantiti. I grandi fondi internazionali non ci apprezzeranno, ma forse riusciremo a ridare alle nostre PMI un polmone finanziario importante per fare investimenti nel futuro loro e del Paese.


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