C’è una cosa che non difetta mai nelle diverse stagioni della politica ed è la fantasia creativa nella costruzione delle parole. D’altro canto le parole, si sa, sono la materia di cui è fatta la politica e non c’è proprio niente di male a misurarsi con ardite architetture semantiche, soprattutto quando non c’è molto altro da raccontare. Questa crisi di governo ha messo in campo una paroletta che viene ripetuta catatonicamente dai politici nell’incontro ravvicinato del terzo tipo col microfono, in entrata e in uscita dal Quirinale o di passaggio davanti a qualche telecamera in esterno o nelle poltroncine dei talk show televisivi rinfrescati dall’aria condizionata: “accordicchio”.
Diciamo subito che i diritti d’autore vanno pagati a Zingaretti, che ha ridato dignità d’uso ad una espressione che odora di stagioni passate, roba da piccolo mondo antico (nella versione istituzionale di “governicchio”), e porta dentro tutto il carico spregiativo che, almeno nell’intento del ripristinatore, può essere attribuito ad una intesa vile, messa in piedi per tirare a campare, una roba così, per spartirsi un po’ di spoglie, ma priva di orizzonte politico e di qualsiasi effetto benefico al di fuori della cerchia dei contraenti.
Per cui “vade retro accordicchio”:o l’intesa nobile, per il programma e l’interesse superiore del Paese, oppure niente, dritti al voto. Su questa base antiaccordicchiante chi correva a rotta di collo verso le elezioni e chi, invece, non voleva lo show down del voto, han trovato la dignitosa quadra per affrontare le consultazioni. C’è da dire che la parola ha avuto subito un successo strepitoso: dopo l’esordio zingarettiano, all’uscita dalla sua direzione, abbiamo contato quattro o cinque dichiaratori strenuamente schierati contro l’accordicchio, aggrappandosi al recupero letterale dell’espressione, quasi a voler dire: se l’ha detta il segretario è quella la linea.
Dopo giorni di cardiopalma, di tempeste umorali, di valige delle vacanze riposte, di mogli e figli partecipi dello sbalzo ipocondriaco dell’onorevole genitore, ecco finalmente un barlume nel tunnel nero come la pece che portava dritto al voto. Purché non sia un accordicchio, certo. Al conduttore che, nelle infinite dirette tv, per coprire i tempi morti fa all’esperto di turno la domanda fatidica “ma come andrà a finire?” verrebbe da rispondere: ma come sarebbe? Dopo tutto sto casino per non andare al voto come voleva Salvini, che fanno? vanno a votare ad ottobre come voleva Salvini, servendogli in un piatto d’argento anche argomenti ghiottissimi come il tentativo d’inciucio alla fine fallito? E poi la legge di stabilità? Lo spread che già mostrava di allentare la presa in queste ore?, l’interesse superiore del paese? Suvvia, non scherziamo.
Non può essere, anche in questo tempo della politica bislacca, che lo scontro tra pulsioni narcisistiche dei capi faccia scivolare lungo il piano inclinato dell’autolesionismo gli attori del nuovo ciclo. Il governo ci sarà e sarà, naturalmente, un accordo come si deve. E non un accordicchio.