Quasi fosse uno studioso di idee e movimenti politici, per giustificare il cambio di alleanza a livello governativo, Luigi Di Maio, all’uscita dal secondo giro di consultazioni in Quirinale, ha definito il Movimento 5 Stelle un partito “post-ideologico”, aggiungendo anche che le tradizionali categorie di destra e sinistra sono da ritenersi superate. Sono concetti, in verità, già da tempo espressi da vari intellettuali e commentatori delle vicende del nostro tempo, non solo in Italia e non solo riguardo ai grillini (la stessa Lega, per molti aspetti, presenta caratteristiche non facilmente ascrivibili alle destre classiche). Anche se mai mi era capitato di sentire un leader di una forza politica che espressamente definisse tale la sua.
La domanda da porsi è perciò a mio avviso cosa debba intendersi per “post-ideologia”, ammesso e non concesso che il termine abbia un senso e un significato. La prima cosa da osservare è che il Novecento, su tutti i fronti, anche quello liberaldemocratico, ha avuto una idea di politica ben precisa, cioè come realizzativa di un’idea che si aveva nella testa. Questa concezione è stata così pervasiva che a noi oggi sembra quasi naturale che la politica debba essere ciò.
In verità, non è stato sempre così: la politica è stata sempre, per lo più, una accanita lotta senza appello di interessi contrapposti che traevano un freno, molto parziale, dall’appartenenza a un orizzonte valoriale comune di stampo cristiano, e nell’interesse alla salvezza della Patria (salus rei publicae) da parte degli statisti o comunque dei detentori del potere in atto. Quelle che sono comparse sulla scena della politica otto-novecentesca (diciamo a partire dalla Rivoluzione francese) sono state vere e proprie “religioni secolari” (giacobinismo, progressismo, marxismo, nazismo, fascismo, lo stesso liberalismo concepito in un certo modo) che hanno sostituito la religione tradizionale e hanno dato un senso e un tono all’agire politico.
La distinzione fra una destra e una sinistra politiche trovava ragione in questo orizzonte di senso. La fase odierna segna in qualche modo un passaggio fra un vecchio e consolidato sistema categoriale, che però resiste e informa i nostri stessi modi di pensare, e un nuovo che spinge ad emergere e che assomiglia in maniera straordinaria al classico modo di fare politica, quella ad esempio che ci ha descritto Machiavelli parlando della Firenze rinascimentale (ovviamente i modi sono oggi più civilizzati, e gli “scannamenti” avvengono per fortuna solo in senso simbolico).
Pura lotta per il potere allora la politica odierna? No, se non altro perché nelle nostre società c’è una forte opinione pubblica e in più le forze politiche prendono impegni con gli elettori e si sottopongono periodicamente al loro giudizio. Gli impegni, come nel caso dei Cinque Stelle, sono semplici policies, spesso nemmeno collegate da un comune collante. Col rischio perciò di diventare una sorta di dogmi di difficile realizzazione, o a tutt’al più degli slogan. O, nel peggiore dei casi, di mascherare un semplice opportunismo politico teso a conservare semplicemente “le poltrone”, per usare il colorito linguaggio di Matteo Salvini. Se è questo il caso dei Cinque Stelle, che indubbiamente stanno vivendo un travaglio non da poco, non è dato sapere. In ogni caso, nessun problema: contano i fatti, cioè le realizzazioni. E comunque saranno gli elettori a giudicare: siamo in democrazia, vivaddio!