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Ma quali cospirazioni internazionali. L’opinione di Castelvecchi sul Conte 2

Di Alberto Castelvecchi

Un tempo le teorie del complotto e le analisi di reti cospirative appassionavano in prevalenza gli analisti politici e i magistrati inquirenti. Da una decina di anni sono diventate uno sport di massa, un’abitudine nazionale, uno dei filoni più fecondi della conversazione quotidiana, dentro e fuori dal web. Oggi quasi tutti parlano di Poteri Forti, e identificano senza onere di prova i colpevoli in “loro”. Dove loro sta per le élite italiane e internazionali, dalla Banca d’Italia al Gruppo Bilderberg. Voi provate a ricordare che le élite ormai sono in crisi o, almeno, non sono più quelle di una volta. E magari vi azzardate a dire che perfino il Presidente francese Macron (tu quoque, Emmanuel!) ha deciso di chiudere l’Ena, quella Scuola Nazionale di Amministrazione che ha prodotto centinaia di campioni della migliore classe dirigente transalpina, incluso lui stesso. Rischierete di sentirvi rispondere che fate parte del Deep State, che un tempo era il ceto in carriera di lungo corso nelle amministrazioni pubbliche (Ministeri, Organi di Sicurezza, Enti e aziende partecipate), ma oggi è la pentola ribollente di ogni losco disegno di controllo degli eventi planetari. Molti italiani ormai pensano che, nell’epoca in cui ogni notizia può essere fabbricata a tavolino e distorta come fake news, anche gli eventi della realtà politica possano essere decisi a tavolino. Ogni Bar Sport ha la sua bisca, e ogni bisca ha un suo buio retrobottega in cui loro – sempre e solo loro – riescono per miracolo, in pochi giorni, a riunirsi e pianificare tutto. Ma proprio tutto.

Se così stanno le cose, non c’è da stupirsi che le accuse di complotto transnazionale e i paradigmi cospirativi abbiano ricoperto con uno spesso velo di  sospetti anche il secondo incarico che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha conferito al professor Giuseppe Conte: il primo ministro uscente che, appena disarcionato da un Governo che sembrava un puledro ingovernabile, si è visto consegnare le chiavi dell’intero maneggio, con un mandato esplorativo su cui fino a pochi giorni fa in pochissimi avrebbero scommesso. Perfino il leader della Lega Salvini (tu quoque, Matteo!), fresco reduce di Russiagate e “dossier Metropol”, si è lasciato affascinare dall’idea che dietro l’incarico a Conte giochi una cospicua rete di connessioni fra il vertice appena concluso del G7 di Biarritz, l’Eliseo, le alte burocrazie di Bruxelles, le grandi banche, la Casa Bianca e la Cancelleria tedesca. Così il professore e “avvocato del popolo”, che fino a pochi giorni fa tutti accusavano di essere il mero esecutore delle decisioni di Matteo Salvini e dell’altro vicepremier Luigi Di Maio, viene ora dipinto come uomo-fotocopia di Mario Monti, ed emissario di un combinato disposto di poteri forti e più o meno invisibili.

Vorremmo qui avanzare una modesta proposta: è vero che la via che conduce dall’incarico al varo del nuovo governo è tutt’altro che facile. Ma è anche vero che, se Giuseppe Conte ce la farà, ciò sarà dovuto essenzialmente alle sue qualità personali, che a dispetto delle facili ironie ci sono e sono molto evidenti. In altre parole, Giuseppe Conte ha stoffa: in questo anno è cresciuto come uomo di caratura istituzionale, ed è diventato un punto di riferimento in Italia e all’estero, essenzialmente grazie a sé stesso. Tanto che, se dovessimo trarre delle Lezioni di Leadership per punti sintetici dalla sua vicenda personale, potremmo riassumere le qualità del professore Premier in questi 7 punti:

  1. Compostezza emozionale. È quella che lo psicologo Howard Gardner (per anni docente a Princeton) attribuisce come tratto irrinunciabile ai veri leader. Fateci caso: a differenza degli altri Conte non si agita, non grida, non accusa gli avversari con gli occhi iniettati di sangue. Anche nel suo discorso di commiato dal primo mandato, tenuto al Senato pochi giorni or sono, nel suo j’accuse a Matteo Salvini ha badato ad aggredire il problema più che la persona. Beppe Grillo e Matteo Renzi, Matteo Salvini e Alessandro Di Battista, ad esempio, sono il tipico esempio di leader che, un giorno per l’altro, si mostrano emozionalmente “scomposti”. Conte no. E questo probabilmente è uno dei tratti che lo ha reso un interlocutore credibile agli occhi di quell’unico, vero Potere Forte che ha gestito questa crisi: il Quirinale.
  2. Abilità di mediazione: Giuseppe Conte è un «bridge maker», un costruttore silenzioso di ponti, non un Capitan Fracassa. Ogni epoca storica ha le sue peculiarità e necessita di un tipo particolare di leader. E questa fase delicatissima della vita italiana vede un Paese lacerato e pieno di “ponti crollati” (purtroppo anche in senso reale) e macerie di terremoti (reali, oltre che istituzionali). Per molti versi l’Italia necessita di dialogo, di mediazione, di ricomposizione. Tutte doti che il professor Conte ha affinato per anni, da professionista, e ha perfezionato in questi mesi a Palazzo Chigi.
  3. Capacità di mettersi al di sopra delle parti. Questa dote è tutt’ora in costruzione, e Conte viene ancora visto da molti come emissario del solo M5S, o comunque leader debole e condizionabile. Invece, soprattutto in questi ultimi mesi, ha dimostrato di saper essere dapprima “bi-partisan”(con tutte le contraddizioni del caso), e oggi addirittura “non-partisan”. Perfino nel Partito Democratico, che forse ha trovato in Nicola Zingaretti il suo mediatore tra fazioni, se ne devono essere convinti.
  4. Costanza e tenacia nello studio. Il Premier incaricato, a differenza di molti suoi più giovani ministri, sa di cosa parla. E se non sa si informa accuratamente, chiede pareri a persone esperte, studia i dossier. Quella che ad altri sembrerebbe pignoleria, accertamento documentale e “per acta” di ogni fase istituzionale, è un requisito che un Presidente del Consiglio non può non avere. Ed è un’altra dote che distingue Conte da molti “politici puri”, tutti dominati dall’istinto e dalla decisione improvvisata. Aggiungerei che, una volta studiati a fondo i dossier, Conte ha dimostrato più di una volta di avere doti di “Decision Making”, lavorando per obiettivi e ponendo scadenze precise.
  5. Rispetto dei luoghi e dei riti istituzionali. Tranne che nelle trasferte di Stato, e nelle (pochissime) pause di riposo, se cercavate Giuseppe Conte in questi 14 mesi sapevate dove trovarlo: a Palazzo Chigi. Avere “domicilio certo” nelle Istituzioni, in un’epoca in cui molti sono tentati dalla “disintermediazione» e dal cercare legittimità sui social media (o sulle spiagge), si è rivelata una caratteristica vincente.
  6. Atteggiamento educato e alla mano. Se lo incontrate sulla soglia di un negozio, nonostante gli agenti di scorta e il poco tempo a disposizione, un leader come Conte vi dice «prego, passi prima lei». Basta chiedere a chi vive nel ristretto perimetro romano tra Piazza di Pietra, Piazza Colonna, Piazza San Lorenzo in Lucina e Piazza del Parlamento. Vi riferiranno decine di episodi di questo tipo sull’inquilino di Palazzo Chigi. La capacità di mettersi al di sopra delle parti, ma non degli esseri umani – mentre molti politici fanno l’esatto contrario – è un altro tratto che tutti gli studiosi di leadership indicano come un sicuro asso nella manica. A differenza di altri che non guardano neppure dove vanno e “asfaltano” le persone, il professor Conte mantiene dei tratti assolutamente civili. E questo nel medio periodo ha giocato a suo favore presso l’opinione pubblica.
  7. Empatia e capacità immediata di stabilire sintonie. Questa dote, altra «golden card» nel mazzo di gioco di un leader, ha permesso a Giuseppe Conte di farsi apprezzare anche all’estero. Il compito non era facile. Luigi Di Maio indispettì la Francia recandosi addirittura in visita dai leader dei Gilet Gialli nei giorni della rivolta. Matteo Salvini non perse occasione di attaccare, anche personalmente, gli altri leader europei. Il presidente Conte ha sempre fatto l’esatto contrario: ha stretto mani, ha parlato sottovoce, si è seduto a discutere con pazienza, con l’Europa come con gli Stati Uniti, e in questo modo è probabilmente riuscito a evitare (per ora) che l’Italia finisse sulla graticola degli organi di sorveglianza europei e delle procedure di infrazione per eccesso di debito, come pure delle correnti speculative internazionali.

Insomma, se di cospirazioni dobbiamo parlare, teniamo a mente una cosa: la peggiore  cospirazione in cui può incappare un leader è quella che lui stesso ordisce contro di sé, per difetti o per eccessi di personalità. Per quanto possa sembrare un uomo medio e a tratti quasi prevedibile, Giuseppe Conte ha saputo sorprendere molti osservatori per l’equilibrio e l’esercizio paziente della discussione. Al contrario, la parabola accidentata della carriera di Matteo Renzi, di Matteo Salvini e di molti altri leader si concretizza di solito in ascese fulminee ma anche in cadute improvvise e molto dannose – anche se è ancora presto per dire se si tratta di cadute definitive o temporanei incidenti di percorso nella loro storia politica. Ma l’inciampo è e sarà sempre quello: innamorarsi di sé stessi, credere a un ristretto manipolo di fedelissimi che ti trattano da subito come un Padreterno, e ti abbandoneranno con altrettanta rapidità al primo cedimento. Ecco perché, quando sbagliano o mancano un obiettivo, questi leader guardano all’estero e alle cospirazioni internazionali, quando in realtà dovrebbero guardare in casa propria, o meglio ancora guardarsi allo specchio.

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