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L’Italia aderisce al progetto di Macron sulla Difesa, ma Guerini mette i paletti

Dopo l’incontro tra Giuseppe Conte ed Emmanuel Macron, palazzo Chigi ha comunicato ieri l’intenzione italiana di aderire alla European intervention initiative (Ei2), il progetto lanciato dal presidente francese per cooperare nel campo della Difesa. A oltre un anno dalla firma dell’iniziativa, ai dieci Paesi aderenti si aggiunge così anche l’Italia, l’unico dei big del Vecchio continente che era rimasto fuori in virtù di diverse perplessità per uno slancio estraneo tanto al contesto dell’Unione europea quanto a quello della Nato, i due pilastri della nostra postura internazionale.

IL MESSAGGIO DI GUERINI

In tal senso, le parole con cui il ministro Lorenzo Guerini ha comunicato l’ufficialità dell’adesione italiana sembrano tutt’altro che pura formalità. “Questa iniziativa – ha detto il titolare di palazzo Baracchini – è nata da una forte volontà politica e intende rafforzare la Ue la Nato, entrambe indispensabili a garantire la sicurezza dell’Europa e degli europei”. In altre parole, il riferimento per la difesa del Vecchio continente resta nell’Alleanza Atlantica e nell’Unione europea, con l’Ei2 che potrà al massimo contribuire a un loro rafforzamento. Messo così, l’obiettivo non sembra poter essere condiviso totalmente dalla Francia. Tuttavia, è proprio questa la ragione per cui da più parti si è invocata l’adesione italiana: entrare nell’iniziativa per sedersi al tavolo in cui si prendono le decisioni, così da poterle comprendere e (eventualmente) orientare.

L’ADESIONE

“L’Italia ha comunicato ufficialmente la volontà di aderire all’Iniziativa europea d’intervento”, ha spiegato ieri palazzo Chigi a margine del Consiglio dei ministri. In particolare, il nostro Paese fornirà “la peculiare competenza nazionale nel settore securitario nella regione del Mediterraneo”, per un’iniziativa che “si fonda su un approccio innovativo alla cooperazione nella Difesa, ispirato alle idee di interoperabilità politica e anticipazione strategica”. Oltre alla Francia aderiscono Germania, Regno Unito, Spagna, Portogallo, Olanda, Belgio, Danimarca, Estonia e Finlandia. Il progetto era stato lanciato da Macron a settembre del 2017 con il famoso discorso alla Sorbona di Parigi. Una prima lettera d’intenti era poi stata firmata alla fine di giugno dai ministri della Difesa dei Paesi interessati, a margine di un vertice con i colleghi della Nato in cui l’Italia, con Elisabetta Trenta, aveva manifestato i propri dubbi (condivisi anche da altri, seppur aderenti).

IL PROGETTO DI MACRON

D’altra parte, l’obiettivo dichiarato era la creazione di una struttura esterna all’Unione europea e alla Nato per garantire una risposta rapida in caso di crisi, militari e civili. Si annunciava difatti la collaborazione a livello di pianificazione e analisi, ma anche sull’eventuale risposta successiva. “In un ambiente in cui minacce e sconvolgimenti geopolitici o di natura climatica si moltiplicano, l’iniziativa deve mandare il messaggio che l’Europa è pronta, che l’Europa è capace”, facevano sapere dal ministero della Difesa francese. Di base, lo slancio francese sembrava indicare l’ambizione di Parigi a guidare un’iniziativa europea che potesse dar vita a quell’autonomia strategica che, per i transalpini, è da tradurre come indipendenza dall’alleato statunitense. Tutto ciò sembrò evidente a novembre dello scorso anno, quando Macron invocò “un vero esercito europeo” per difendersi dalle minacce provenienti da “Stati Uniti e Russia”. Era il punto più basso dei rapporti tra Parigi e Washington, poi progressivamente migliorati fino ai sorrisi con Donald Trump nel recente G7 a Biarritz, utili a far tornare il sereno tra le due sponde dell’atlantico, ma non sufficienti a diradare i dubbi sulle intenzioni francesi in tema di Difesa europea.

TRA PESCO E BREXIT

Difatti, sin dall’inizio, gli esperti notavano come l’Ei2 fosse stata lanciata da Parigi dopo che la linea francese era stata scartata nell’ambito della Pesco, la cooperazione strutturata permanente già prevista dai Trattati dell’Ue. La Francia immaginava una Pesco in versione ristretta, con pochi Paesi in grado di agire in fretta e trainare il resto dell’Europa nel campo della Difesa. Germania e Italia sposavano invece la linea dell’inclusività, aprendo il più possibile la cooperazione per una reale condivisione di esigenze e opportunità. È questo l’approccio che ha prevalso, con ben 25 Paesi che hanno aderito ai primi progetti Pesco e tutta l’insoddisfazione francese. In più, da Parigi è sempre arrivata l’intenzione di mantenere un ponte stabile con il Regno Unito, trovando a Londra la sponda di coloro che non desideravano perdere il treno della Difesa europea dopo la Brexit. Lo spiegava proprio il ministro della Difesa francese Florence Parly: “Il Regno Unito ha dimostrato grande interesse per l’Ei2 perché vuole preservare la cooperazione con l’Europa oltre i legami bilaterali”.

LE PERPLESSITÀ ITALIANE

Ciò non bastò a convincere l’Italia, che tra l’altro all’epoca del lancio formale dell’iniziativa viveva il complicato insediamento del governo giallo-verde. La scelta fu comunque consapevole, descritta poche settimane dopo alle commissioni Esteri e Difesa di Senato e Camera dagli allora ministri Enzo Moavero Milanesi e Trenta. “Esiste un accordo in Europa che si chiama Pesco, e l’Ei2 altro non fa che prendere i Paesi che vi aderiscono più la Gran Bretagna e dargli una missione simile”, notava la titolare della Difesa. “È un’iniziativa parzialmente europea”, da guardare con “cauta e doverosa prudenza”, rilanciava il titolare della Farnesina. Inoltre, emergevano le frizioni sul titolo del progetto, in particolare sul termine intervention: “Se l’intervento è civile, l’accordo non lo firmano i ministri della Difesa”, chiosava la Trenta.

PERCHÉ ADERIRE

In ogni caso, lo stesso ministro italiano non escludeva “la possibilità di aderire in un secondo momento”. Il momento è arrivato, e l’Italia aderisce ora all’iniziativa di stampo francese mantenendo pressoché inalterate tutte le perplessità. “Per quanto l’iniziativa francese sia di carattere meramente politico, abbia contenuti piuttosto limitati e nasconda la volontà di Parigi di egemonizzare il dibattito in sede europea, non è non sedendosi ai tavoli che si può sperare di incidere sulle decisioni”, ha notato il generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa. In altre parole, “non possiamo poi lamentarci di soluzioni preconfezionate se non partecipiamo al confezionamento”. Pur con tutte le giuste perplessità del caso, ha aggiunto Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali, “vale anche qui la regola che gli assenti hanno sempre torto,non a caso vi ha aderito persino il Regno Unito, oltre ai Paesi europei più impegnati nelle missioni internazionali”.

IL PUNTO DI LESSER

Anche dall’Alleanza Atlantica sono giunte a più riprese diverse perplessità. Non le ha condivise Ian Lesser, vice presidente per la Politica estera dell’autorevole German Marshall Fund of the United States. “Non c’è ragione per cui tale iniziativa non debba essere compatibile con la Nato”, spiegava a Formiche. “Potrebbe fornire capacità in più nei casi in cui la Nato non trovi appropriato intervenire”. In tal senso, ha aggiunto, “è probabile che possa essere più utile e utilizzata nella periferia meridionale dell’Europa, nel Mediterraneo e oltre, tutte aree in cui la strategia della Nato è meno chiaramente focalizzata”. Certamente, ha rimarcato l’esperto, “dovrebbe essere più rilevante per la risposta a emergenze civili, e in molti casi ci potrebbe essere un nesso con contingenze di sicurezza”.



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