Una tassa su merendine e bibite gassate per aumentare lo stipendio degli insegnanti? “È praticabile” per il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, intervistato da Bruno Vespa nel corso di Atreju, la festa dei Fratelli d’Italia che si svolge a Roma in questi giorni. Conte ha poi aggiunto che, allo stesso scopo, potrebbe essere “praticabile” anche una tassa sui viaggi aerei. Da liberale, mi auguro che la “praticabilità” sia solo fattuale, empirica, ma che, ad un più attento esame anche ideale (non oso dire ideologico), questi ulteriori balzelli si rivelino, prima di tutto al premier, che è persona colta e preparata, “impraticabili”.
Se per un liberale le tasse sono odiose in sé, quelle che hanno un vago sapore pedagogico e paternalistico lo sono ancora più. So bene come la mentalità liberale sia in disuso, e poco cambia se al governo ci sia un governo gialloverde o giallorosso. E capisco pure che non bisogna avere una concezione astratta del liberalismo, né tantomeno confonderlo con un liberismo dogmatico o antistatista.
Però credo che la tassazione debba essere quanto più universale possibile: non proporsi di punire i produttori o i consumatori di un prodotto solo perché si ritiene che faccia male alla salute o perché aumenta l’inquinamento globale. Lo Stato deve essere forte, ma deve garantire “l’anarchia degli spiriti sotto l’imperio della legge” (secondo la felice espressione di Luigi Einaudi). Ciò significa che se uno esagera in merendine e bevande gassate, e se viene messo in condizione di capire che in questo modo danneggia la propria salute, deve essere poi libero di farlo comunque, se vuole e se non arreca danni diretti a terzi (lasciamo stare i sofismi che riportano addirittura a un danno erariale dei comportamenti “insani” che reclamano poi l’intervento della sanità pubblica).
C’è un diritto alla salute, ma anche un diritto alla malattia. E alla infelicità (per dirla questa volta con John Stuart Mill). Libertà assoluta mdi gestire la propria vita come meglio si crede. I produttori non devono poi fare altro che rispondere alle richieste del mercato, che non può subire distorsioni né in nome del dieteticamente e né dell’ambientalmente corretto.
Piuttosto che lo Stato, deve farsi carico la società di diffondere nel suo seno sensibilità più appropriate da parte dei più. Ai quali ogni tanto va anche concesso di “deviare” dalla “dritta via”. Se è lo Stato ad intervenire pesantemente nella normale dialettica del mercato, anche delle idee, si finirà per imporre una “dieta di Stato”, una “etica di Stato”, un “pensiero unico” e una standardizzazione dei modelli di vita. Si finirà, in poche parole, per comprimere la libertà e togliere alla società quelle energie rinnovatrici che le impediscono di fermarsi.
Il processo corretto per un liberale sarebbe quello di favorire, non per via indotta statale-legale, ma per le vie della consapevolezza e della cultura, comportamenti di vita più sani esostenibili. Confidando anche nella tecnica per non far sì che ciò ci porti indietro ai “bei tempi antichi”, che in verità non sono mai esistiti. È la tecnica, ad esempio, che può rendere gli aerei meno inquinanti e non un impraticabile, esso sì, ritorno ai treni o alle navi. Il meccanismo che invece unisce l’ingegneria sociale e politico-economica ai dettami di un’etica astratta e conformistica è quanto di più lontano dallo Stato di diritto possa immaginarsi. Il fatto che queste considerazioni non scattino nella mente automaticamente, è forse l’aspetto più strano o preoccupante di tutta la faccenda.