Il regime di Nicolás Maduro in Venezuela è il più grande focolaio di corruzione della regione latinoamericana. A sentenzialo è il Barometro Globale della Corruzione in America Latina e i Caraibi 2019, ultimo report presentato dall’organizzazione Transparency International. Nella lista dei posti più corrotti della regione ci sono anche Repubblica Dominicana, Peru, Trinidad e Tobago, Panama, Brasile, Cile, Honduras e Colombia.
Lo studio indica che la maggior parte dei venezuelani, l’87%, percepisce la presidenza del Venezuela come un’istituzione guidata da persone corrotte. Circa il 93% dei cittadini crede che la corruzione sia il problema più grave del Paese. Nella classifica è al primo posto la presidenza della Repubblica, con un indice di corruzione che è passato dal 63% nel 2017 al 87% nel 2019. Seguono gli impiegati pubblici, l’Assemblea Costituente (sorte di Parlamento parallelo creato da Maduro appena perse le elezioni legislative), la polizia (che invece nel report del 2018 era al primo posto) e infine giudici e magistrati. Un sistema interamente contaminato dal flagello della corruzione.
Secondo Transparency International, i ricatti nel sistema giudiziario e nei processi per avere documenti di identità sono all’ordine del giorno. La crisi umanitaria del Venezuela ha costretto circa 4 milioni di persone a fuggire del Paese, per cui il rinnovo del passaporto è diventata un’odissea che sfruttano i corrotti. Per il 91% dei venezuelani la lotta del governo contro la corruzione è sempre più inefficace. Godono invece di buona immagine i leader religiosi, i giornalisti, le ong e i membri del Parlamento.
Intanto, a livello internazionale si torna a parlare del Venezuela. Alla vigilia dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, l’Alto Commissario per i Diritti umani, Michelle Bachelet, ha dichiarato in un programma tv che “per l’Onu il presidente eletto del Venezuela è Nicolás Maduro mentre Juan Guaidó è il titolare dell’Assemblea nazionale”. Guaidó, presidente del Parlamento e leader dell’opposizione venezuelana, ha comunque notificato che invierà una sua delegazione per partecipare all’appuntamento.
Delegazione che potrebbe avviare un nuovo processo di dialogo con il regime di Maduro. Ma, per renderlo effettivo, dovrebbe lasciare da parte le condizioni. Almeno questo è il parere del premio Nobel per la Pace ed ex presidente del Sudafrica, Frederik de Klerk. In un’intervista concesso al quotidiano spagnolo El País, in occasione del XVII Summit Mondiale di Premi Nobel per la Pace, De Klerk a Mérida, Yucatán (Messico) si è soffermato sulla tragedia del Venezuela.
Il politico, premiato per il suo contributo per la fine dell’apartheid nel Paese africano, sostiene che l’uscita della crisi venezuelana si potrà raggiungere con un “dialogo contundente e significativo” tra tutti gli attori del conflitto: “Devono fare lo stesso che ha fatto il mio partito, trattare le cause dalla radice […] I leader devono sedersi ad un tavolo senza troppe pre-condizioni e dire: ‘Dobbiamo salvare la nostra popolazione, cambiare la Costituzione e andare avanti’. Deve identificarsi il potenziale del Venezuela, che oggi è distrutto”.
De Klerk consiglia negoziati dove entrambi le parti cedono: “Prendendo in considerazione la nostra storia (del Sudafrica, ndr), la lezione più importante è che se si vuole evitare una catastrofe, la violenza, che altre persone muoiano, si deve negoziare, avere un dialogo significativo […] Il mondo si trova in uno stato molto negativo, la democrazia sta svanendo. Ci sono motivi per essere preoccupati di tutto quello che sta accadendo”. Secondo lui, le tre grandi sfide dell’umanità sono il razzismo, la povertà e il cambiamento climatico”.