Bisogna dare atto a Davide Casaleggio, e quindi al Movimento Cinque Stelle, di avere capito, fra i primi in Italia, il carattere epocale della rivoluzione digitale di questi anni. In generale, ma anche e soprattutto nelle sue conseguenze sulla vita politica e quindi sulla democrazia. Non sorprende perciò la partecipazione come relatore ad un convegno che si terrà al Palazzo di Vetro dell’Onu a New York e che è stato organizzato e promosso dal governo italiano: “Digital Citizenship: crucial steps a Universal and Sustainable Society”.
L’impressione che si ricava dagli articoli e dalle interviste, soprattutto al Corriere della Sera, di Casaleggio è che a questa capacità di guardare al futuro, che le altre forze politiche non hanno, si unisca nel presidente dell’Associazione Rousseau un armamentario teorico non adeguato, o meglio non desiderabile. Detto altrimenti, sembra che il Movimento Cinque Stelle, in nella sua area più casaleggiana, che per certi aspetti potremmo definire post-moderna, sia impregnato della più classica e tipica ideologia della modernità: quella democratica. Con tutto il suo corollario di dirittismo, progressismo, mito della partecipazione (“democrazia partecipativa”, come suol dirsi.
Lo stesso tema della “cittadinanza”, recuperata in una chiave digitale, richiama a quella conversione dell’individuo liberale e della persona cristiana in un uomo che, immerso nella comunità politica in cui vive, annulla la sua specificità in un orizzonte collettivo di proclamato e sempre più accresciuto progresso e benessere sociale e civile. Le citoyen, appunto, dei rivoluzionari francesi e dei giacobini. Non c’è dubbio che l’iperdemocraticismo, che è una delle tendenze di fondo del nostro tempo (non l’unica per fortuna), trovi in Internet la possibilità di esplicarsi attraverso forme sempre più compiute di democrazia diretta.
La critica liberal a questa tendenza verte su una presunta necessità di far decidere sulle questioni pubbliche ad altrettanto presunti “competenti” o esperti. Che è, francamente, una sorta di platonismo politico foriero, in punta di teoria ma anche di concreta esperienza storica e pratica, di ancor più danni del russovismo spinto a cui strizza l’occhio Casaleggio. Anche perché, come ci hanno insegnato i classici del liberalismo, la conoscenza che serve alla società è dispersa fra i suoi componenti e nessuno più del singolo individuo può individuare ciò che per lui è bene.
Il problema principale dell’ideologia fatta propria da Casaleggio e dalla sua Associazione Rousseau è, a mio avviso, nella poca o nulla consapevolezza che si ha della necessità della mediazione in politica. La partecipazione peer to peer eliminando la mediazione fra il singolo e lo Stato non può che dare una verità frammentata e quindi unilaterale. Non avrei voluto scomodare Hage, ma come dimenticare che, se “la verità è l’intero”, l’“intero” non si dà nella sua immediatezza ma come processo e mediazione.