Questo commento è stato pubblicato oggi sul quotidiano Il Tempo.
Fino a ieri neanche i nostri politici sapevano – figurarsi! – che, per andare nello spazio, il mondo deve chiamare l’Italia.
La prima missione del nostro allora più povero ma sognante Paese fu nel lontano 1964, e il satellite lanciato si chiamava, in italiano, “San Marco”. Serviva per lo studio dell’atmosfera terrestre. L’Italia diventava così la terza nazione della Terra, dopo Stati Uniti e Unione Sovietica, a mandare un proprio satellite in orbita. Invece la missione italiana più recente è in corso e vede protagonista Luca Parmitano, astronauta di 36 anni che resterà sei mesi nella Stazione spaziale internazionale. Sarà il primo italiano a “passeggiare” nello spazio.
Le sue parole, entrando nella nuova casa che l’ospiterà per 178 giorni? “Ciao mamma”. Quasi la tenera conferma della sua italianità, che lassù fa ancor più rima con universalità: l’“uomo più felice del pianeta” – com’è stato subito ribattezzato per il sorriso con cui accompagna l’impresa -, ha dedicato il primo pensiero alla madre. E poi alla moglie Kathryn e poi alla figlia Sara di sei anni. “Mamma mia” è il titolo di una delle più celebri canzoni degli Abba. E’, soprattutto, una simpatica espressione internazionale che si associa all’identità italiana. Del resto, non usiamo ripetere che “la mamma è sempre la mamma”?
Luca Parmitano, come molti degli uomini (e anche donne: Samantha Cristoforetti per tutte) che l’hanno preceduto o che lo seguiranno, fa parte dell’esercito dei cervelli italiani prestati al mondo per la ricerca più alta: la vita oltre la Terra. Sono quasi sempre ufficiali dell’Aeronautica militare italiana e allo stesso tempo ingegneri, scienziati, gente che ha superato ogni genere d’esame per essere selezionata e poter un giorno evocare, con Andrea Bocelli, la suggestione del viaggio oltre ogni confine: “Con te, partirò…”.
Questa Italia dello spazio, così poco raccontata in patria, rappresenta, in realtà, la metafora dell’Italia vera. Quell’Italia che si fa valere e amare nel mondo e che, insieme con astronauti d’ogni nazionalità, partecipa alla grande sfida della conoscenza con onore e con amore.
Si chiama infatti “Volare”, ancora una volta in italiano, il nome evocativo dato alla missione pur partita dal Kazakistan, al comando del russo Fyodor Yurchikhin e con l’americana Karen Nyberg. Italiani ed europei sono gli enti che hanno preparato i nostri astronauti, rispettivamente l’Asi e l’Esa. Italiana è la tecnologia di prim’ordine alla base della missione e persino della Stazione spaziale. Ma italiana è anche la virtù che si richiede ai prescelti, che devono, semplicemente, essere bravi, molto bravi. Altrimenti non supereranno le durissime prove fisiche e di conoscenza. L’esatto opposto del sistema dei raccomandati che tanto ci angustia.
Italiana, infine, è la tradizione che ormai da cinquant’anni accompagna le astronavi. Basta andare a Cape Canaveral, in Florida, per rendersene conto. L’epopea americana dello spazio rivendica le sue origini nella grande avventura italiana dei mari e delle esplorazioni. Nel ricostruire la lunga marcia che dalla Terra ha portato alla Luna, gli americani indicano quattro tappe nei cartelli esposti al visitatore: il viaggio di Marco Polo tra l’Europa e la Cina nel 1271/1292, Cristoforo Colombo che attraversa l’Oceano e scopre l’America nel 1492, e poi Leonardo Da Vinci che disegna una macchina volante, e poi Galileo Galilei che scopre il satellite di Giove. L’America sulla Luna omaggia i pionieri italiani, i padri del viaggio verso l’infinito, e oltre. Un filmato indugia sull’Italia e su Genova, “la patria di Cristoforo Colombo”.
Quando Luca Parmitano è partito per un’esperienza unica al mondo (a cominciare dalla durata del volo: appena sei ore, anziché i soliti due giorni), la nostra attenzione era rivolta altrove. Dalla nera crisi economica al grigio voto amministrativo dall’altissima astensione.
Ma ogni tanto bisognerebbe mettere il nasino all’insù. Per vedere che nel cielo c’è un sogno verde, bianco e rosso che può renderci felici. E’ il nostro arcobaleno sul mondo, e dice: tranquilli, la pioggia passerà.