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Così la Corte dei conti europea accende il faro sulla difesa comune

Il Trattato sull’Unione Europea (Tue), al Titolo V prevede una serie di disposizioni in tema di “Politica di Sicurezza e di Difesa Comune” (Psdc) finalizzate alla formazione di una “difesa comune, che contribuisca a rafforzare l’identità dell’Europa e la sua indipendenza al fine di promuovere la pace, la sicurezza e il progresso in Europa e nel mondo”.

Nonostante il settore della difesa militare rientri a pieno titolo nelle materie di cooperazione comunitaria tra Stati membri, la visione consolidata ed attuale delle politiche militari si articola ancora su due livelli, uno è il livello della difesa nazionale, l’altro invece riguarda la difesa collettiva e basa la sua azione esclusivamente sulla struttura organizzativa della Nato.

Per agevolare la nascita e la formazione di una “difesa comune”, ma anche per prepararsi a fronteggiare adeguatamente le minacce globali, la Commissione europea ha proposto, per il periodo 2021-2027, di elevare il budget destinato alla Ricerca e Sviluppo militare dagli attuali 590 milioni di euro a 13 miliardi di euro.

L’improvviso aumento delle risorse, incrementate di ben 22 volte, ha attirato l’attenzione della Corte dei conti europea (European Court of Auditors o Eca), i cosiddetti guardiani del bilancio comunitario, che si è chiesta se con tali risorse l’Unione europea possa efficacemente integrare l’azione della Nato oppure, se duplicherà o peggio si sovrapporrà all’azione di quest’ultima, con un evidente spreco di risorse dei contribuenti comunitari.

I rischi, connessi a questo nuovo approccio, che gli auditor dell’Eca hanno segnalato come particolarmente elevati riguardano l’insufficiente definizione di una adeguata cornice degli obiettivi da raggiungere ma anche l’assenza di sistemi che possano gestire in modo efficace l’improvviso aumento delle risorse.

Chiaramente l’origine di questi rischi deriva dalla recente attuazione, in sede europea, di un processo organizzativo che invece nella Nato è consolidato da diversi decenni.
In merito ai rischi di performance, sono state esaminate le attuali iniziative comunitarie nel settore della difesa: Pesco (Cooperazione rafforzata permanente, istituita nel 2009 ma attuata solo nel 2017 e che riguarda 25 Stati membri); Card (Revisione coordinata annuale sulla difesa, un meccanismo intergovernativo attuato su base volontaria) ed il Fondo europeo per la difesa, che nel periodo 2017-2020 ha avviato due progetti pilota.

La Corte dei conti europea ha messo in luce la sostanziale mancanza di una pianificazione europea della difesa, che potrebbe essere attuata tramite lo strumento del Libro bianco o altro draft nazionale equivalente.

In sintesi, l’insufficiente definizione degli obiettivi, la mancata implementazione di sistemi di gestione adeguati al nuovo volume di risorse, l’assenza di una programmazione unica ovvero comunitaria, sono i gravi punti di debolezza ai quali bisogna velocemente porre rimedio.

In conclusione l’analisi della Corte auspica fortemente che si manifesti un cambio di passo nelle politiche dei vari Stati membri, che ancora non riescono a concepire la difesa come una vera e propria politica comunitaria, al pari di quella di coesione o di quella agricola.

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