È la manipolazione del titolo di un fortunato libro del 1979, scritto dal pubblicitario francese Jacques Séguéla: Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario… lei mi crede pianista in un bordello. Oggi il mestiere del pubblicitario, ai tempi considerato un persuasore occulto, è stato sdoganato. Gli strateghi dell’advertising d’antan, ma soprattutto la “vecchia” tv nella quale si esprimevano, sembrano dei santarellini in confronto ai giganti del web come Google, Facebook, Instagram e Amazon.
Lo stesso processo di beatificazione storica non è avvenuto per i lobbisti che – ieri come oggi – godono ancora di pessima stampa, complice la mancanza di chiarezza su cosa sia esattamente il mestiere che svolgo ormai da più di vent’anni. Dove c’è mancanza di chiarezza, i pregiudizi si alimentano fino a diventare mostri a tre teste. È questo il motivo per il quale, noi di Telos A&S, abbiamo lanciato la rubrica Lobby Non Olet, nella quale intervistiamo i lobbisti che raccontano il proprio mestiere. Il protagonista dell’ultimo numero è Vincenzo Manfredi, coordinatore dell’area advocacy e public affairs della Ferpi, la federazione delle relazioni pubbliche italiana. Guarda l’intervista.
“Non tutti sanno cos’è il nostro mestiere, che cosa facciamo. […] Perché la lobby è, purtroppo considerata in modo negativo: nel dibattito pubblico, in generale, un lobbista di solito è un faccendiere. Noi non siamo faccendieri. Siamo consulenti strategici che aiutano imprese, organizzazioni e istituzioni a organizzare i propri interessi, in modo da creare valore per tutta la comunità”.
Possiamo dunque definirci come coloro che rappresentano un interesse particolare, cogliendone gli aspetti di rilevanza generale. Non è una definizione facile da ricordare e non suona bene come un’etichetta pubblicitaria, ma è quello che facciamo. Sarebbe meglio essere pianisti in un bordello? Non lo so. Sicuramente non sarebbero necessarie tutte queste spiegazioni. E tanto meno una rubrica intitolata Pianista Non Olet.