Che avverrà dopo la caduta –per parafrasare il titolo di un celebre e discusso dramma di Arthur Miller sulla sua complessa relazione con Marylin Monroe – registrata dai partiti che sostengono il governo alle elezioni regionali in Umbria? Altri tratteranno gli aspetti politici, ma a due giorni dal voto, sembra essenziale accennare a quali sono le lezioni da trarre e le misure da prendere, in materia di politica economica. Tanto più che la legge di Bilancio, che sarebbe dovuta approdare in Parlamento il 22 ottobre, pare sia ancora in fase di redazione, con il rischio – ogni giorno che passa- di esercizio provvisorio e, quindi, di aumento (pur se solo per pochi giorni) dell’Iva.
Cerchiamo di delineare le misure di politica economica che potrebbe ridurre il divario tra il governo risultante dalle elezioni del 2018 e nato per il timore che la maggioranza parlamentare formatesi sulla base dei risultati di allora venisse sostituita da un’altra, in particolare da quella che le elezioni regionali sembrano indicare come una profondamente differente dall’attuale. Occorre sottolineare che un’analisi recente di Open Polis conclude, dati alla mano, che se l’attuale fase politica si sta contraddistinguendo per una forte instabilità partitica, il ruolo delle Regioni appare invece in costante ascesa, come indicato, ad esempio, nel numero di parlamentari che hanno lasciato Montecitorio e Palazzo Madama per optare per incarichi regionali, dal dibattito sull’autonomia differenziata, e dal movimento di alcune Regioni per modificare, tramite referendum, la legge elettorale.
Di conseguenza, i risultati delle elezioni regionali non possono essere derubricati a ‘fenomeni locali’ senza impatto a livello nazionale. Indicano quanto meno l’esigenza di rivedere le proposte anche e soprattutto in materia economica. A mio avviso, questi sono i punti essenziali.
a) Rinegoziare, a livello europeo, le misure relative all’European Stability Mechanism (colloquialmente noto come Fondo Salva Stati) adottate negli ultimi mesi (ed esaminate su questa testata), forse senza che l’Italia ne valutasse l’importanza, che in caso di una nuova crisi finanziaria ci lascerebbero senza difese europee.
b) Rimodulare il Reddito di cittadinanza sulla base dei risultati dei recenti dati Inps sulle sue inefficienze e destinare i risparmi ad investimenti infrastrutturali.
c) Trasformare Quota 100 in un meccanismo di pensionamento flessibile analogo a quelli in vigore in numerosi Paesi europei e separare nettamente (anche sotto il profilo gestionale) la spesa pensionistica dalla spesa assistenziale, affidando gradualmente la seconda a Regioni e comuni (più vicini a chi è in stato di bisogno) e scorporandola, quindi, dall’Inps.
d) Cercare di risolvere al più presto il centinaio di ‘tavoli di crisi’ che si trascinano al ministero dello Sviluppo Economico e che incidono pesantemente sui territori.
e) Ripensare drasticamente le micro tasse, che porteranno poco al gettito ma causeranno molta confusione ed irritazione ai cittadini-contribuenti.
Questi cinque punti sono il minimum minimorum in politica economica per cercare di colmare il crescente divario che pare crescere tra governo e Paese.