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Fincantieri, Fca e Borsa italiana. Cosa c’è dietro le mire francesi sull’Italia

Di Fabio Squillante

L’integrazione del tessuto industriale e finanziario della Francia e dell’Italia appare avanzare sempre più. Essa, tuttavia, procede speditamente solo quando sono i nostri cugini transalpini a guidare fusioni ed acquisizioni, mentre il processo contrario risulta estremamente difficoltoso, quando non impossibile.

Nell’aprile del 2016, l’allora presidente francese, François Hollande, aveva accettato l’acquisizione dei Chantiers de l’Atlantique da parte di Fincantieri, ma solo a patto che la quota acquistata all’asta dall’azienda italiana scendesse dal 66 al 51 per cento, e che nella nuova compagine azionaria entrasse anche la compagnia cantieristica della difesa Naval Group, anch’essa francese.

Appena eletto, nel maggio del 2017, il presidente Emmanuel Macron cancellò quell’accordo, nazionalizzò Chantier de l’Atlantique, e ne offrì infine a Fincantieri solo il 49 per cento, più un 2 per cento in affitto per 12 anni. Nonostante tutto, l’autorità antitrust transalpina, insieme a quella tedesca, impugnò l’accordo di fronte alla Commissione europea, che mercoledì 30 ottobre, dopo un lungo esame preliminare, ha aperto formalmente un’indagine, presupponendo che la fusione Fincantieri-Chantiers de l’Atlantique possa danneggiare la competitività della cantieristica mondiale. Curioso, viste le innumerevoli raccomandazioni di Bruxelles per la nascita di colossi industriali europei.

Fatte le debite differenze, una vicenda analoga è quella di Fca, il costruttore automobilistico italo-statunitense, che si è vista bloccare dal governo francese l’accordo per la fusione con Renault, azienda transalpina che possiede, a sua volta, un’importante partecipazione in Nissan. La fusione avrebbe dato vita al primo gruppo automobilistico mondiale, ma avrebbe avuto il difetto, agli occhi dei nostri amici transalpini, di mettere in minoranza gli azionisti francesi, che sarebbero stati esposti ad un’eventuale alleanza italo-nipponica.

Fca non si è arresa e ha ritentato l’operazione con Psa, il secondo costruttore francese, controllato con quote paritarie dalla famiglia Peugeot, dal governo di Parigi e da investitori cinesi, che hanno, ciascuno, il 12,23 per cento della società. Una volta fuse le due case automobilistiche, il nuovo gruppo occuperebbe la quarta posizione a livello mondiale, dietro Volkswagen, Toyota e Renault-Nissan. La maggioranza relativa delle azioni sarebbe in mani italiane, ma stavolta il presidente Macron ed il suo governo non si sono opposti, poiché Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli-Elkann, non sembra avere la possibilità di dominare il nuovo colosso.

Il Cda della nuova compagnia, infatti, sarebbe composto di 11 membri: 5 in rappresentanza di Fca, 5 di Psa ed un indipendente. Chi? Il portoghese Carlos Tavares, attuale amministratore delegato della casa francese, che resterebbe in carica per cinque anni.

La verità è che la Francia persegue da oltre un quarto di secolo un disegno egemonico nei confronti del nostro Paese, funzionale a costituire una massa critica tale da mettere in minoranza – all’interno dell’Unione europea – la stessa Germania. Nel confronto con Berlino, Parigi può contare su carte importanti, in particolare il seggio nel Consiglio di sicurezza dell’Onu e l’arma atomica, che i tedeschi non hanno. Alla Francia difetta, però, la forza economica, industriale e finanziaria per poter prevalere sulla Germania. Sono questi i presupposti – semplici e ragionevoli, dal punto di vista francese – della strategia di controllo adottata dalla Francia nei confronti del nostro Paese ed, estesa, negli ultimi due anni, alla Spagna.

È un disegno che trova ulteriore conferma negli ultimi giorni, con la notizia della possibile cessione di Borsa italiana da parte del London Stock Exchange Group. L’ex “piazza affari”, con i suoi oltre 520 miliardi di capitalizzazione, è una preda ghiotta, poiché contiene il Mercato dei titoli di Stato (Mts), la più importante piattaforma del genere in Europa, i servizi di post-trading e la piattaforma Elite, dedicata alle Pmi. A voler comprare è Euronext, che controlla le Borse di Parigi, Bruxelles, Amsterdam, Lisbona, Dublino ed Oslo, ma è controllata dalla Caisse des dépots et consignations, la Cdp francese, e da Euroclear, una finanziaria fondata da J. P. Morgan con sede in Belgio, ma controllata anch’essa da capitali francesi.

Nel caso della fusione Psa-Fca, comunque, una cosa resta da chiarire: il peso dei diversi azionisti nella futura compagnia comune. L’ex Fiat, infatti, è ormai in buona parte un’azienda statunitense, per quel che riguarda i modelli di punta, i ricavi, le maestranze, ma anche i pacchetti azioniari controllati da fondi statunitensi. Proprio questi ultimi, con la loro presenza, potrebbero svolgere un ruolo cruciale nel determinare gli assetti di controllo del nuovo colosso automobilistico. C’è da credere che il presidente Usa, Donald Trump, farà il possibile perché l’ex Chrysler non cada sotto il controllo delle truppe industriali di Macron.

L’analisi completa su Agenzia Nova



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