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Beppe vs Beppe, dov’è la verità su Milano tra Provenzano e Sala?

Un tempo Milano era non solo il volano economico dell’Italia, insieme a tutta l’area del Nord Ovest, ma anche la sua “capitale morale”. Il riferimento, a livello di immaginario, corre subito ad una borghesia produttiva seria, sobria, dai tratti persino nobiliari: quella, per intenderci, che è tratteggiata da Luca Guadagnino nel suo film “Io sono l’amore”. Poi lo sbracamento totale ha fatto sì che quel ceto borghese da protagonista che era quasi scomparisse, cedendo il passo a élite sempre più cialtrone, e che la moralità venisse confusa con la “legalità”, cioè con il giustizialismo giacobino di “Mani pulite” (che sempre a Milano ebbe i suoi natali). Quella Milano restituiva o no al resto del Paese in cui, quasi per disgrazia, sembrava incastonata (guardando già allora oltre le Alpi, in primo luogo in direzione della Svizzera)?

Lasciamo agli storici l’ardua risposta, ammesso e non concesso che la logica del dare e avere abbia un senso in casi come questo. Fatto sta che il titolare del ricostituito ministero per il Mezzogiorno, il brillante e giovane Beppe Provenzano, ritiene che oggi la capitale lombarda “a differenza di un tempo” attragga ma non restituisca “quasi più nulla di quello che attrae”. Lo ha detto in un convegno milanese, chiamando in causa, più o meno direttamente, il sindaco della città, quel Beppe Sala che, forte dell’immagine e dei risultati raggiunti dalla sua città, proprio in questi giorni ha manifestato l’intenzione di ricandidarsi per un secondo mandato nelle elezioni della primavera 2021.

In verità, i due Beppe hanno anche qualcosa d’altro in comune, oltre il nome: sono dello stesso partito, il Pd. Tanto che in molti si sono affrettati a parlare di “guerra in casa” o “fuoco amico”. A poco servono le puntualizzazioni di Provenzano dopo la risposta piccata del sindaco che ha fra l’altro fatto presente che Milano non ha “nessun istinto egoistico” e che casomai sono le altre città a dover seguire l’esempio milanese di buona politica.

Ovviamente la polemica si è subito estesa, soprattutto ad altri esponenti politici, i quali non hanno saputo fare altro che mettere in scena il solito “teatrino” di destra contro sinistra e viceversa. Il problema mi sembra invece che vada affrontato con più lungimiranza, tenendo conto di alcuni elementi non inessenziali per poter esprimere un giudizio ponderato.

In primo luogo, la fortuna di Milano dipende certo anche da una buona amministrazione della cosa pubblica, da una politica cioè che ha saputo accompagnare lo sviluppo della città, ma essa non è una prerogativa di questa giunta in particolare. È almeno dai tempi di Gabriele Albertini (sindaco dal 1997 al 2006) e passando per quelli di Letizia Moratti (2006- 2011) e Giuliano Pisapia (2011-2016), che Milano è ben governata.

A Milano è semplicemente successo che sindaci di diverso orientamento abbiano tutti ben operato e che, in sostanza, nell’amministrazione della città c’è stata una sostanziale continuità che altrove è mancata (non facile da realizzarsi in un sistema politico diviso e guerreggiato come quello italiano). C’è poi una ragione ancora più sostanziale da considerare. Con la globalizzazione e il predominio dell’economia immateriale su quella tradizionale, le grandi città diventano spesso dei player autonomi a livello mondiale, in quanto vengono ad avere un peso più le interconnessioni (spesso in tempo reale) fra di loro che non l’interscambio proficuo fra loro e il territorio circostante o nazionale (almeno che non sia proprio quello di prossimità).

Milano, ovviamente anche grazie alle sue virtù, gioca per l’Italia questo ruolo al pari di quello che fanno all’estero, sia in Occidente e sia in Oriente, altre città metropolitane. È come se il tradizionale conflitto fra nazioni si fosse spostato in parte a quello, interno ad un singolo Stato, fra città (o meglio metropoli) e periferia e campagna. Che poi questo conflitto rispecchi in buona parte anche quello, come suol dirsi, fra élite (cittadine e cosmopolite) e popolo (suburbano ed extraurbano) è un dato di fatto. E spiega tante cose, non ultimo il senso della lotta politica in corso fra “populisti” e non soprattutto in seno alle nostre società occidentali.


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