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Presidenzialismo, il Katechon di Cacciari e il decisionismo di Miglio-Schmitt

E’ uscita qualche mese fa per Adelphi l’ultima opera di Massimo Cacciari, “Il potere che frena”. Traduzione quasi letterale del termine Katechon, che troviamo nella Seconda Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi: identificata ora nell’Impero romano, ora nella Chiesa, questa potenza terrena deve “trattenere” (Katechon=colui che trattiene), ritardare, contrastare fino a che è possibile il dispiegarsi del Male, che precederà poi l’Apocalisse.

Tralasciando il complesso apparato teologico, va detto che i temi apocalittici non sono nuovi alla riflessione filosofico-politica del Novecento cui Cacciari fa riferimento, in particolare al giurista tedesco Carl Schmitt (1888-1985), fondatore della “teologia politica”, l’idea cioè che si possano interpretare le categorie fondamentali della politica come forme desacralizzate e secolarizzate di concetti teologici. Partendo da questa base filosofica, Schmitt è arrivato ad affermare che lo Stato “salva” la società dall’anarchia con il semplice potere di “decidere sullo stato di eccezione”, ovvero sospendendo la norma e creando un nuovo ordine di fatto, solo con una propria decisione sovrana. Sia in Carl Schmitt che nel saggista nichilista Ernst Junger (1895-1998) troviamo la concezione dello Stato come soggetto animato da una volontà propria assolutistica e la cui prassi politica non è vincolata dagli “interessi nazionali” correttamente definiti (cioè nel confronto pluralistico degli interessi), ma si esercita quando liberamente dichiara un nemico assoluto cui muovere guerra all’interno o all’esterno dei confini.

Alcuni politologi hanno ravvisato nel decisionismo di Schmitt un riferimento ideale, uno sbocco risolutivo per società pluripartitiche bloccate da veti e conflitti incrociati. Negli anni ’70-80 l’idea venne promossa da Gianfranco Miglio per superare la crisi italiana dal punto di vista dei ceti economici produttivi settentrionali, collegandola all’ipotesi presidenzialista di cui il “decisionismo craxiano” fu un’effimera incarnazione. Secondo la vulgata, l’enorme rafforzamento del capo dello Stato doveva controbilanciare come forza centripeta la maggiore libertà conquistata dalle Regioni in un ipotetico (e allora remoto) assetto federale. In realtà è difficile non vedere, nel concreto svolgersi della vicenda del decisionismo italiano, un grave rischio: la sanzione, al di là e forse contro macchine politico-burocratiche nazionali ben radicate al Sud, di un primato istituzionale degli interessi politico-territoriali di un Nord da sempre più strutturato nelle sue espressioni amministrative e più organicamente agganciato al mercato europeo e mondiale.

La rinnovata riflessione sulla figura del Katechon come paradigma della sovranità, rilanciata da un altro alto esponente intellettuale del Nord, può dunque essere portata anche su questo piano, molto più modestamente politico: una difesa della democrazia che non passi da opposizioni violente e apocalittiche, che rifiuti in nome dell’interesse nazionale alla pluralità i “governi di salvezza repubblicana” e, come più semplicemente sostiene da tempo Pierluigi Bersani, la pericolosa monocrazia di “uomini soli al comando”.



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