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Michele Crepaz. Il puzzle italiano della lobby

Le potenti lobby come male oscuro del nostro Paese è un ritornello antico quanto la lobby stessa. L’anzianità del tema non ha portato tuttavia a un tentativo serio di risoluzione del problema. Lo slogan è: re-go-la-men-ta-zione! E noi lobbisti diciamo: bene, regolamentate! Ma poi non succede nulla di significativo. E, in un eterno ritorno, riparte il ritornello.

Abbiamo parlato della situazione italiana con Michele Crepaz, ricercatore al Trinity College di Dublino e uno dei massimi studiosi del tema. Dalle parole di Crepaz, intervistato da Telos A&S per la video-rubrica Lobby Non Olet, emerge la classica situazione a puzzle. Ovviamente nella fase in cui i pezzi sono sparsi sul tavolo del salotto e, solo in piccole isole, sono assemblati insieme per far intravedere un pezzo del disegno complessivo. Insomma, le singole buone intenzioni ci sono, manca però una visione generale. Lo sottolinea Michele Crepaz: “In Italia, in questo momento, la situazione della regolamentazione del lobbying è frammentata. […] le regolamentazioni esistenti sono per lo più volontarie e riguardano soltanto una frazione o una parte delle istituzioni: alcune giunte regionali, alcuni consiglieri regionali, alcuni ministeri e la Camera dei deputati. Questo crea una giungla che rende il processo difficile da capire. È una situazione abbastanza unica, perché in altri Paesi esistono regolamentazioni che riguardano tutte le istituzioni, tutti i livelli di governance”. Guarda l’intervista a Michele Crepaz.

Un contesto diversificato e poco chiaro che, a ben vedere, si limita ad una serie di Registri ai quali i lobbisti devono (più o meno) iscriversi per potere, almeno nelle intenzioni, essere autorizzati ad incontrare rappresentanti sia del livello politico che di quello amministrativo. Ma nulla è stato fatto per rendere accessibile e trasparente quello che è il cuore del lavoro del lobbista: il processo decisionale! Tutto quindi rimane coperto da una nebbia, all’interno della quale pochi riescono ad orientarsi. Chissà come. Non certo per professionalità. Da quanto emerge dall’intervista, la situazione è diversa in altri Paesi dai quali l’Italia potrebbe prendere ispirazione. Canada, Francia e Irlanda hanno una regolamentazione “user friendly” e questo favorisce la trasparenza. Invece da noi, in principio era il caos. E siamo rimasti al principio.


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