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Hong Kong sceglie la democrazia. E Pechino trema

Di Stefano Pelaggi

Le elezioni amministrative di Hong Kong hanno registrato una netta vittoria del fronte pro-democrazia, i candidati che sostengono le ragioni delle protesta si sono aggiudicati ben 389 dei 452 dei seggi disponibili mentre quelli pro-governativi hanno conquistato appena 58 seggi.

Una vera e propria disfatta, nelle precedenti elezioni gli alleati di Pechino avevano conquistato 300 seggi. In più della metà dei distretti gli elettori hanno ribaltato le proprie preferenze, rispetto alle precedenti consultazioni, scegliendo amministratori vicini alle richieste dei manifestanti. Le elezioni amministrative di Hong Kong hanno registrato il record assoluto di partecipazione con un’affluenza del 72%, e più di un milione e mezzo di votanti rispetto alle precedenti consultazioni (47%).

Le elezioni per i consigli di distretto sono le uniche consultazioni pienamente democratiche previste nell’ex colonia britannica, gli eletti si occupano esclusivamente di questioni amministrative per i singoli territori, dalla viabilità alla concessione di licenze commerciali sino alla gestione delle principali necessità per l’erogazione di servizi. Tuttavia il radicale cambiamento nella composizione dei distretti comporterà anche un nuovo assetto nel Comitato Elettorale che nel 2020 dovrà scegliere il prossimo leader della città-Stato. Lo schieramento che ha la maggioranza dei voti nei distretti sarà infatti chiamato a rappresentare i consigli nel Comitato con 117 rappresentanti.

Una dinamica che tuttavia non sarà sufficiente a generare un effettivo cambiamento visto che il Comitato Elettorale di Hong Kong è composto da 1.200 persone, per lo più fedeli al Partito Comunista cinese. Le consultazioni erano solitamente incentrate su questioni locali, ma la recente campagna elettorale è stata interamente focalizzata sulle proteste che ormai da sei mesi hanno catalizzato l’attenzione mondiale su Hong Kong. Ogni candidato ha chiaramente espresso la propria posizione rispetto alle manifestazioni, le questioni locali hanno lasciato spazio all’appartenenza al blocco giallo, pro-democrazia, o blu, pro-Pechino.

Molti dei candidati più attivi nel sostenere i manifestanti sono stati eletti nei consigli distrettuali, come Jimmy Sham uno dei promotori delle manifestazioni che hanno portato in piazza milioni di hongkonghesi e Kelvin Lam, subentrato all’attivista dell’Umbrella Movement Joshua Wong a cui era stato impedito di correre nelle elezioni. Anche altri candidati eletti come Richard Chan, Roy Kwong, Andrew Chiu e Lam Cheuk Ting hanno partecipato attivamente alle manifestazioni negli scorsi mesi, spesso proprio come promotori di iniziative a sostegno delle proteste. Mentre tutte le personalità più vicine a Pechino che hanno duramente attaccato le ragioni dei manifestanti pro-democrazia sin dall’inizio delle proteste non sono stati eletti nei vari consigli distrettuali. Da Junius Ho, accusato di mantenere rapporti con la triadi cinesi protagoniste di molti atti di violenza contro i manifestanti, al noto imprenditore Michael Tien i volti che hanno mostrato supporto alle ragioni dell’amministrazione di Carrie Lam sono stati sconfitti alle urne. Un risultato sorprendente visto che molti dei candidati pro-Pechino hanno potuto usufruire di importanti finanziamenti durante la campagna elettorale e l’amministrazione aveva predisposto azioni di supporto, in particolare organizzando il trasporto degli anziani residenti in Cina nei seggi elettorali.

Un messaggio forte, che mostra come il sostegno popolare nei confronti della protesta sia cresciuto nonostante le violenze e i disagi che la città-Stato ha dovuto affrontare in questi sei mesi. Sino ad oggi l’amministrazione guidata dalla governatrice Carrie Lam e la stampa cinese avevano sostenuto che le proteste di Hong Kong erano espressione di un limitato gruppo di persone e che la maggioranza silenziosa degli hongkonghesi desiderava esclusivamente tornare alla normalità, lasciandosi alle spalle violenze e devastazioni. Il risultato delle urne ci consegna un risultato molto diverso, con la popolazione nettamente schierata al fianco dei manifestanti. La sfida per Carrie Lam sarà quella di ricomporre la frattura sociale tra gli hongkonghesi e l’amministrazione della città-Stato, in particolare il rapporto con la polizia locale.

Anche a Pechino si guarda con preoccupazione agli eventi di Hong Kong, nessuno avrebbe immaginato fino a qualche mese fa la pacifica popolazione dell’ex colonia britannica impegnata in un profondo conflitto. Le scene di guerriglia urbana, le devastazioni e le azioni violente tra i due schieramenti contrapposti rimarranno indelebili negli occhi dell’opinione pubblica mondiale. I risultati delle urne esprimono il totale supporto della popolazione nei confronti dei manifestanti, nonostante le ripercussioni economiche delle proteste. Il patto implicito tra benessere e sviluppo economico in cambio di una scarsa rappresentatività politica e una sostanziale accettazione dei diktat di Pechino sembra essere saltato.

Una dinamica che costituisce un vero e proprio incubo per Pechino, soprattutto alla luce del rallentamento dello sviluppo economico cinese e una sostanziale riduzione dei consumi. Sino a oggi l’opinione pubblica in Cina si è mostrata compatta nel supporto alle reazioni di fronte alle proteste di Hong Kong, ma la deriva degli eventi nell’ex colonia britannica costituisce un pericoloso segnale.

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