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Le virtù del nazionalismo di Hazony raccontate da Vittorio Robiati Bendaud

Di Federico Di Bisceglie

È da poco approdato tra gli scaffali delle librerie un libro controcorrente che sta facendo discutere. Si tratta de “Le virtù del nazionalismo” del pensatore e biblista israeliano Yoram Hazony (nella foto). Il testo è stato pubblicato dalla Guerini e Associati ed è stato tradotto da Vittorio Robiati Bendaud che in questa intervista ha raccontato i punti salienti del volume.

Robiati Bendaud, perché tradurre e pubblicare questo libro?

Perché questo testo aiuta a riflettere. Hazony è uno dei massimi esponenti del pensiero conservatore, riconosciuto a livello internazionale. Chiaramente, si tratta di un libro controcorrente. Dunque, il valore di pubblicare libri controcorrente sta proprio nella possibilità di creare un dibattito attorno a un tema, di obbligare cioè a riflettere con più puntualità e acribia. In particolare, se si tratta di un tema così delicato. Questo dibattito in definitiva, può articolarsi su due ordini di livelli: se il testo è confutato, parzialmente o in toto, in maniera dialogica ma qualitativamente fine, serve a corroborare meglio definendola l’opinione avversa a quella qui argomentata e sostenuta. Se, invece, i contenuti di quest’ opera vengono recepiti anche in piccola misura, significa che stimola la riflessione e che è necessaria. La terza via è quella dell’ampia adesione alle tesi del testo, che quindi necessariamente determinano un ri-orientamento del pensiero. A questo dovrebbero servire i buoni libri.

Qual è l’idea di nazione che Hazony ritiene valida?

Quella che, a suo dire, si trova già ben articolata e descritta all’interno del testo biblico “Torah e Profeti”, che si oppone all’idea di impero universale (egizio, persiano, ellenista). Tale nazione dimora in un suo proprio territorio, con un’unità culturale linguistica “aperta” eppur definita, con confini precisi e con ben normati vincoli contro le eventuali smanie di espansione. Essa prevede una certa distinzione tra potere religioso e potere politico, come pure limiti ai poteri del governante e l’essenziale imperativo della divisione dei poteri. Infine essa non deve rispondere a istituzioni sovranazionali, sì che il governante sia attento prima di tutto alle istanze dei suoi governati. Tale idea si è poi sviluppata, secondo Hazony, a seguito dell’emanciparsi politico delle nazioni protestanti dall’impero cattolico sacro e romano (a cui si affiancò per numerosi secoli quello bizantino, in epoca più antica ben più prospero e culturalmente dinamico del primo), i cui pensatori e uomini di governo ebbero costantemente in mente proprio gli ideali d’ indipendenza e sovranità nazionali veicolati dal testo biblico ebraico. È chiaro che queste posizioni possono essere sgradite a molti, come non sono ben viste le posizioni di altri conservatori quali Roger Scruton o Douglas Murray, di cui raccomando la lettura. Posizioni tutte, sebbene ognuna con peculiari sfumature, che andrebbero ben meditate e che ci dicono qualcosa di urgente sull’oggi, sollecitandoci risposte responsabili per il domani.

Che cosa intende?

Le idee di questi autori s’inseriscono nel solco di una tradizione filosofico, politico-culturale significativa e potente che in Europa, differentemente da altre realtà (in genere il mondo anglofono, specie statunitense), è poco frequentata e, forse, poco compresa. Probabilmente anche in ragione del predominio del pensiero di sinistra e, in seconda battuta, di quello cattolico europeo. Con la doverosa sottolineatura che il pensiero di sinistra del Novecento, poderoso, plurimo ed esigente, non corrisponde certo al “cicisbeo rivoluzionario da salotto” che accompagna la nostra desolata attualità.

Nel libro di Hazony che visione emerge dell’Europa?

Estremamente critica. Anzitutto per motivi teorici e politici, dato che nei riguardi delle nazioni membro, a suo avviso, la Ue si comporta come una realtà imperiale. Inoltre, c’è da dire che Hazony è un pensatore israeliano, legato profondamente al suo paese. L’Europa continua a dimostrare in più occasioni di essere profondamente antisemita. Forse che negare l’ebraicità fondativa e presente del monte del tempio, attribuendo unicamente il nome e l’identità islamica di quei posti non equivalga a una negazione, a un tradimento anche verso la stessa storia occidentale e cristiana, e a una sostituzione, tanto culturale che religiosa che politica? E lei questo non lo chiama antisemitismo radicale? E comunque mi creda: armeni, copti, assiri, drusi, ebrei, curdi, bahai, zorohastriani e molte altre minoranze etnico-religiose del vicino medio oriente, non hanno, a fronte degli storici e sanguinosi tradimenti più volte perpetrati da parte delle potenze occidentali, molta stima o fiducia nell’Occidente contemporaneo e in specie negli europei. Altra cosa è dichiarare tutto ciò apertamente…

In definitiva qual è la tesi che sottende a tutta l’opera ‘Le virtù del nazionalismo’?

L’idea di libertà, che lui articola da un lato come libertà individuale e dall’altro come libertà collettiva. La libertà nazionale è correlativa, per così dire nel pensiero di Hazony, alla garanzia delle libertà individuali e di quelle collettive, in questo modo segnando una cesura con molto pensiero politico liberale, per lo più primariamente concentrato sulle sole libertà individuali. Per Hazony queste libertà politiche, che diventano libertà esistenziali con le loro necessarie responsabilità, sono profondamente legate agli stati nazionali, gli unici in cui hanno effettivamente avuto nascita e sviluppo  e che, storicamente (pur tra contraddizioni ed errori talora devastanti e drammatici) sono i soli a esser riusciti a porre dei correttivi ai loro stessi errori, riconoscendoli. A tutto ciò si contrappone l’imperialismo che, ad oggi, Hazony assimila al globalismo omologante, assolutista e  dunque intollerante. Corrente di pensiero in cui convergono peraltro, con inquietanti ibridi, il liberismo economico più sfrenato e rapace e il cosmopolitismo terzomondista.

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