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Terzo Settore, come e perché la riforma è finita in mezzo a un guado

La Riforma del Terzo Settore varata nel 2016 è in mezzo ad un guado: mancano ancora l’approvazione dei decreti attuativi e appare lunghissimo il processo di messa in pratica dei nuovi strumenti normativi e delle conseguenti trasformazioni organizzative previste della riforma. Una riforma molto innovativa che prevede un nuovo profilo giuridico di soggetti dotati di solidissime risorse professionali organizzative ed economiche. Questa riforma punta a una innovazione sociale che pur ordinando il ruolo e l’azione di organizzazioni di dimensioni medie grandi abituate al marketing del welfare, pone delle evidenti difficoltà a quelle aggregazione di volontariato minori spesso piccolissime ma fondamentali che rischiano di essere marginalizzati dal carico burocratico e indeboliti nella ricerca di risorse, aggregazioni che hanno bisogno di maggior supporto per mettersi in rete con le più grandi.

La rete del Terzo Settore è molto varia e ha differenti vocazioni e caratteristiche e spesso non ha una inclinazione imprenditoriale, commerciale e aziendalistica. I portatori di bisogni si rivolgono a differenti strutture che insistono preferibilmente sul territorio e hanno antiche e straordinarie relazioni con la cittadinanza attiva e le culture ispirative radicate. Dunque molto diverse tra loro e soprattutto dalle forme associative che sono già ben organizzate e hanno una mission diversa e complementare. In sostanza raccordare tutte le varie forme sotto lo stesso ombrello definendole Terzo Settore significa raccogliere soggetti collettivi differenti: quelli associativi, volontari, imprenditoriali e professionali in modo che si contaminino mantenendo vive però l’organizzazione mista cioè capaci di fare servizi e azioni ispirate da vocazioni seguendo le loro attitudini.

E dunque dovrà essere una strategia straordinaria di promozione dei processi di trasformazione e integrazione lavorando differentemente sui vari territori facilitando e accompagnando questo processo in relazione al nuovo quadro sociale ed economico. La sfida dunque in mano al ministero del Lavoro e delle politiche sociali insieme alla presidenza del consiglio sui decreti applicativi deve essere messa nelle mani non di tecnici e funzionari che controllino l’applicazione burocratica ma a coordinamenti territoriali che sottoscrivano l’impegno e si assumano la responsabilità di portare a termine una visione strategica concreta di politica sociale innovativa.



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