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La Nato ha ancora qualcosa da dire? Il punto dell’amb. Minuto Rizzo

La vecchia Alleanza è tirata per la giacca da tutte le parti. Da Washington viene una strigliata dopo l’altra perché gli europei preferiscono far l’amore che non guerra. Da Parigi giunge il giudizio che sia celebro-lesa. Gli inglesi, una volta autorevoli partners, sono troppo presi dalle loro guerre civili per occuparsene, il presidente turco ne approfitta per ripagare le sgarberie francesi sulla Siria con ingiurie poco diplomatiche verso l’Eliseo. Il segretario generale, che per forza di cose ha superato il peso della Norvegia, suo paese di origine, è diventato una figura quasi ieratica e rassicura tutti.

Cosa fare di tutto questo? Dove stiamo realmente a due giorni di distanza dal Summit di Londra?

Come ci è stato spiegato dalla Storia, se è difficile fare analisi corrette sul passato, immaginarsi cosa si può dire sul futuro… In questi casi l’unica cosa che si può fare è ricorrere ai fondamentali. Non è la prima volta che l’Alleanza Atlantica viene data per persa. Alla fine della guerra fredda si parlava di licenziare il personale, poi sono arrivate le guerre civili balcaniche e si è dovuto chiamare l’Alleanza per pacificare la Bosnia. Malgrado il detto che qualche analista anglo-sassone aveva tirato fuori “non si insegnano nuovi giochi a un cane vecchio”. Poi il segretario generale Lord Robertson riuscì abilmente a mantenere l’Alleanza al centro della scena convincendo gli alleati europei a ricorrere alla clausola di difesa collettiva in aiuto degli Stati Uniti, allora psicologicamente in ginocchio, dopo la distruzione delle due torri l’11 settembre.

Dopo essere riuscita miracolosamente a schivare l’Iraq, restando alla finestra, la Nato si è ritrovata in Afghanistan per volontà dei paesi membri. L’operazione durò dal 2003 al 2014 dove l’Alleanza se la è cavata con onore. Non è colpa sua se la politica afghana è indecifrabile con un Pakistan vicino in perenne ebollizione. Ci si dimentica che la politica della “porta aperta” è stata un successo e che i 12 paesi firmatari del 1949, tra cui l’Italia, sono ora diventati 30. Non si aderisce ad un’organizzazione se la si considera in fallimento.

Torniamo alla domanda originaria, cosa ci riserva il futuro?

L’Alleanza Atlantica ha tre valori aggiunti fondamentali: un rapporto fra politica e azione militare provato e riprovato più volte sul campo. Un’inter-operabilità fra gli eserciti di 30 paesi unica al mondo, alimentata da un grande quartier generale congiunto che opera da ben 70 anni. Il terzo punto è il rapporto transatlantico, con Stati Uniti e Canada. Forse un giorno verrà a mancare, ma all’Italia conviene scommettere che duri ancora. Sappiamo tutti che Trump non ama l’organizzazione, ma tutti i sondaggi indicano un forte sostegno nell’opinione pubblica Usa, per non parlare dell’intero “establishment” militare. Sono un convinto europeista, ma l’Europa della difesa deve ancora farsi le ossa, e l’elefante nella stanza rimane la clausola dell’unanimità in questo settore, che in qualche modo bisognerà scrollarsi di dosso.

In fondo, guardando bene, l’Alleanza non è certo decisiva, forse neanche molto influente, nel giorno per giorno dell’attualità internazionale. Rimane però una formidabile assicurazione sulla vita dei nostri Paesi in caso di bisogno, quando si è in pericolo o vi è una crisi da dover risolvere. A questo tipo di assicurazione non si fa ricorso frequentemente, ma rimane per davvero una risorsa. Una frase che sentivo ripetere a Bruxelles quando si parlava del futuro era : “La Nato è diretta dalla necessità e non dalla programmazione” (Nato is driven by need and not by design).

È chiaro a tutti noi che il mondo sta cambiando e cosi i vecchi equilibri; che la “governance” del mondo è sempre più difficile. Certo anche la Nato può entrare davvero in crisi e non è il momento per immaginare nuove costruzioni che la rimpiazzino. Bisogna augurarsi un prevalere della saggezza, il più grande errore che si possa fare è perdere la bussola sottolineando solo le difficoltà del presente. Dobbiamo fare il possibile per non perdere quello che abbiamo e che, diciamolo pure, abbiamo mantenuto nel tempo con fatica.

In Italia si parla poco di questi temi, non si sa bene perché, come se i temi strategici ci fossero in qualche modo estranei. La verità è ben altra. Siamo un grande paese in mezzo al Mediterraneo ed esposti ai rischi di una volatilità internazionale di cui non si vedono i limiti. Va anche tenuto ben presente che l’Italia, sia pure senza clamore, ha sempre avuto un ruolo di rilievo nell’Alleanza partecipando in modo sostanziale a tutte le operazioni con un equilibrio politico riconosciuto. Questo dà il diritto ad essere presenti in questo dibattito e far bene sentire la propria voce.

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