Caro direttore,
no, non ci sto. Non ci sto a stracciarmi le vesti e a difendere la corporazione giornalistica dalle randellate parolaie di Beppe Grillo.
No, non ci sto. E non solo perché quegli stessi toni – aggettivo più, aggettivo meno – li abbiamo sentiti in passato da Silvio Berlusconi, Umberto Bossi e, con più glamour, anche da Massimo D’Alema (“iene dattilografe”) che auspicò in una intervista a Lucia Annunziata per Prima Comunicazione di lasciare tranquillamente i giornali nelle edicole. Preveggenza dalemiana…
Non ci sto. E non perché il comico divenuto leader politico abbia ragione nei vaneggiamenti ad personam contro Milena Gabanelli, Corrado Formigli, Andrea Vianello, Giovanni Floris e altri ancora. Ma perché le difese corporative e a prescindere non mi appassionano, anche perché sono spesso false, o quanto meno parziali.
Veniamo al dunque. Grillo di che cosa ci accusa? Di essere servi dei poteri, non solo di quello politico ma anche economico e finanziario.
Qualcuno può dire che non è vero? Certo, ci sono le eccezioni, non mancano le inchieste sui grandi giornali (che hanno risorse da dedicare a inchiestone, se lo volessero), ma spesso si occupano della Casta politica, salvo poi scoprire – come ha rivelato Massimo Mucchetti – che erano anche ideate per discese in campo politiche, poi sfumate.
Ma a parte qualche fotocopiatore di atti giudiziari magari non pubblici, buoni spesso ad allestire circuiti mediatico-giudiziari dagli esiti incerti, la grande massa dei giornalisti non può, non vuole o non ha il tempo di scavare, di chiedere, di studiare carte e bilanci, di trovare notizie. Mentre comportano minor fatica e tempo le interviste, specie quelle sdraiate che tanto piacciono ai giornalisti che vogliono piacere.
Ho difeso Grillo? Rispondo, grillianamente, con un Vaffa a chi mi dà del Pentastellato.