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Il Pd punti su Matteo Renzi. Parla il renziano Nardella

Guglielmo Epifani ha ragione, basta a un Partito Democratico vittima di correnti e gruppi di potere. È questa la parte del discorso del nuovo segretario alla Direzione Pd che più ha convinto Dario Nardella, deputato renziano. In un’intervista con Formiche.net, l’ex vicesindaco di Firenze invita il suo partito a passare dalle parole ai fatti, a diventare un partito forte, che trascini i giovani, da nord a sud d’Italia. E per questo ci vuole Matteo Renzi, dice.

Onorevole, Renzi non farebbe meglio a candidarsi apertamente alla segreteria del partito invece di mettere davanti i “se” come ha fatto oggi con Repubblica e domenica con il Giornale?

Io penso che la sua discesa in campo non può essere una forma di autodifesa. Sono sicuro che “Matteo”, se e quando si candiderà, lo farà con convinzione e senza se.

Farà il segretario o il candidato premier?

Io penso che questa insistenza sulla separazione tra segretario e leader rischi di dare vita a un corpo a due teste pericoloso, l’azione di governo deve essere legata alla linea di partito.

A proposito di leadership, nel partito c’è divisione tra chi pensa che debba essere collegiale come Bersani ed Epifani e chi crede all’”uomo solo al comando”, come dice Renzi…

I partiti moderni devono avere un radicamento sociale ma una leadership forte e riconoscibile. Leadership collegiali o deboli sono illusorie. E attenzione non si tratta di berlusconismo: “l’uomo solo al comando” ha bisogno di una squadra ma deve esserci chi stacca tutti e va a vincere.

E l’uomo al comando è Matteo Renzi?

Ritengo che se il Pd vuole interpretare davvero lo spirito di cambiamento che gli chiede il Paese potrebbe scegliere Matteo Renzi, ha le caratteristiche giuste per farlo rinascere. La situazione economica, culturale e politica drammatica che vive l’Italia impone la scelta di un leader coraggioso che sappia prendersi la responsabilità di fare scelte, fuori dal tatticismo estenuante e sappia riconnettere la politica con i cittadini. Matteo, da sindaco, ha dimostrato di saperlo fare. L’assenza di leadership, infatti, è anzitutto paura di fare scelte.

Ieri Epifani ha detto che il “presidenzialismo non è il diavolo” ma ha anche chiarito che prima viene la legge elettorale. Lei cosa ne pensa?

Guardo con interesse l’ipotesi del presidenzialismo e, seppure preferisco il modello francese, anche il premierato, come alternativa di più facile attuazione, risponde all’idea che i cittadini possano scegliere direttamente il capo di Stato o di governo. Del resto in questi anni bisogna registrare che la forma di governo che più ha funzionato è quella dei Comuni anche se a livello nazionale andrebbe implementato con gli opportuni accorgimenti. Sta di fatto che si può e si deve cambiare la II parte della Costituzione.

Perché a sinistra il presidenzialismo è un tabù?

La sinistra è schiava di un vecchio retaggio culturale legato alla paura di un leader forte. E questo finisce per influenzare sia la forma di governo che il partito. Le democrazie moderne gestiscono i rischi del presidenzialismo con un forte bilanciamento dei poteri. E poi come corollario a una riforma in senso presidenziale, ci vuole una norma sul conflitto d’interessi a prova di bomba. Il vero punto della politica italiana è la questione della responsabilità. Il sistema parlamentare l’ha annacquata mentre serve un rapporto più diretto con i cittadini.

Con chi si dovrà alleare in futuro il Pd? Ignazio Marino a Roma ha riproposto l’alleanza con Sel e ne è uscita vincente.

Io dico no ad alleanze improbabili e fragili come quella con Sel che è durata un mese e abbiamo visto a quale risultato ci ha portato. Ma il Pd non deve neanche pensare ad alleanze con il Centro. Ciò su cui ci dobbiamo confrontare è conquistare gli elettori, così come quelli del Pdl. In un sistema bipolare chiaro, non è scandaloso se gli elettori possano passare da un voto al centrodestra a uno al centrosinistra. Negli Stati Uniti è la normalità.

Lei è il primo firmatario del disegno di legge “Scegli tu” sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Soddisfatto del ddl approvato dal governo Letta sul tema?

Il ddl Letta ricalca in gran parte la nostra proposta ma vanno introdotti due correttivi importanti: un tetto massimo ai finanziamenti affinché la politica non finisca in mano ai gruppi di potere e un meccanismo che non introduca automatismi nel due per mille. Deve essere il cittadino a decidere se dare o meno il suo contributo ai partiti, non lo Stato.

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