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Sotto le stelle del jazz

Bene ha fatto la casa editrice Il Saggiatore a riproporre un classico quale Natura Morta con Custodia di Sax di Geoff Dyer. Ci sono libri preziosi che scaldano il cuore come un assolo di quelli epici, resi immortali da certa letteratura o pellicole derivate da pagine ormai immortali. Non importa se siano frutto della fantasia, perché il jazz è anzitutto fantasia. Di quella unica, diretta, senza filtri. Insomma il jazz è libertà.  Indagare la vita dei grandi artisti significa conoscere una nuova musica, quella più intima fatta spesso di lacrime e sofferenza. A volte questo mondo sommerso sembra come quello della boxe tra cadute e un continuo rialzarsi. Insomma se il destino mena tu devi menare più forte ed essere migliore e il migliore. Dietro melodie indimenticabili si nascondono storie incredibili. Sembra quasi che certe cose dovevano accadere per donarci la colonna sonora che ci siamo meritati. In certe note c’è tutto il sudore della resistenza e della resilienza per usare un termine ormai in voga. C’è passione e dolore, di colpi bassi che non sempre aiutano a crescere. Spesso spezzano come un silenzio all’improvviso. E allora cambiando totalmente genere la sostanza non cambia. Basta “osservare” questa frase di Daniel Baremboim per capireche la musica sveglia davvero il tempo:
L’ultimo suono non è il termine della musica. Se la prima nota è collegata al silenzio che la precede, allora l’ultima deve essere collegata al silenzio che la segue. Per questo è così sgradevole quando un pubblico entusiasta applaude prima che si sia spento l’ultimo suono, perché c’è un ultimo momento di espressività, che consiste precisamente nel rapporto tra la fine del suono e l’inizio del silenzio che lo segue.
In un prezioso articolo pubblicato nel 1947 su Musica Jazz, il bravissimo Arrigo Polillo parlando del geniale Bix Beiderbecke scrisse parole che possono valere anche per gli artisti presenti nel volume e che solo a scrivere il loro nome sembra stia per iniziare il concerto dei concerti “presi da zelo iconoclasta, molti critici hanno deciso che è venuto il tempo di separare la realtà dalla leggenda  (…) Ce n’è d’avanzo per farne una figura da romanzo. Si è esagerato, senza dubbio, nel mitizzare l’uomo, (…) ma non si è esagerato affatto nel riconoscere in quell’uomo l’artista“. E i suoi assoli rimangono validi perché sono opere di un artista.  Non a caso il titolo del volume potrebbe essere quello di un dipinto e come non pensare a Dalì che ci ricorda di “non aver paura della perfezione, non la raggiungerai mai”. Ma siamo sicuri che questa frase possa valere per i nostri “eroi” per queste epiche storie del jazz?

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