Vista da Bari questa coda d’anno grondante di festa come da calendario è la cartolina della Banca Popolare, sì, proprio quella che esplode in questi giorni dalle pagine dei tiggì e di ogni quotidiano. È un melanconicissimo “Buone feste” che si staglia sulla fiancata di un palazzo della banca, quello di corso Cavour, la strada centralissima che immancabilmente i baresi chiamano facendo cadere l’accento sulla a piuttosto che sulla u, dove quattro isolati più in là c’è pure Bankitalia. Quell’augurio un po’ burocratico e un po’ malconcio, ha dentro tutto: la ferita dolorosa dei tanti clienti colpiti, l’attonimento degli altri, forse anche un po’ di rassegnata accettazione dell’ineluttabile di chi non vede rosseggiare oltre il plumbeo di questo tempo plumbeo. A ben vedere, però, questa cartolina non appartiene solo all’album delle figurine del capoluogo pugliese, ma più o meno rappresenta il sentiment nazionale per intero. È con questo senso smarrito che gli italiani – popolo di grande pazienza e di antica abitudine al “mormorio” sfogatorio – affrontano da qualche anno il loro quotidiano. Fiducia nella politica? Zero.
Circola un sondaggio di Demos&Pi in queste ore in cui si certifica che il livello di diffidenza nei confronti dei partiti ( “partiti”, sic!) è ai minimi storici (9%), con una precipitevole caduta della reputazione del Parlamento (ci crede solo il 15%) e dello Stato ( 19%), quest’ultimo a pari punteggio con le banche come indice di affidabilità… In cima le forze dell’Ordine (73%), il Papa ( 66%) e Mattarella (55%). L’ente “politico” meno sgradito sarebbe il Comune (38%), e, più sotto, la Regione (col 30% ).
Che cosa racconta questa fotografia del rapporto degli italiani con le istituzioni? Cose gravi e dolorose, in apparenza. Che il Parlamento, i partiti e, mettendoci dentro tutto, lo Stato, sono da buttar via mentre i Comuni e le Regioni sono oasi di aria pura nel mezzo di tanto maleodore? Nossignore. Dice solo che la comunicazione, televisiva essenzialmente, racconta in modo martellante quello che accade sulla scena nazionale, che non è un grande spettacolo, d’accordo, ma non riesce a produrre lo stesso effetto di allarme e di disaffezione profonda verso gli enti locali dove pure si svolge la parte prevalente dell’azione politica (gestione compresa, assente, invece a livello parlamentare) attraverso l’amministrazione del quotidiano. Comunque anche i Comuni e le Regioni sono in caduta: dieci anni fa 44 italiani su cento avevano fiducia dei propri Municipi e 35 delle proprie Regioni.
Questo clima “umbratile”, che sembra salvare soltanto simboli in odore di santità, come il Papa, o quasi, come il Presidente della Repubblica, racconta dunque di un popolo al tempo stesso sfiduciato ed atarassico, che ha talmente poca fiducia nella politica nazionale da affidare a se stessi, riempendo le piazze, piuttosto che alle opposizioni parlamentari il compito di esprimere la propria opinione dissenziente. Così poco vale il Parlamento, dunque, da far suscitare gridolini di entusiasmo solo da falcidiato: tra il 79 e il 90% degli italiani, percentuale variabile secondo l’appartenenza ai partiti, sarebbe entusiasta del taglio dei parlamentari. Per quel che servono, sembrano dire. Salvo, magari, a ripensarci di fronte al referendum. E già, perché più di uno potrebbe considerare: se tutti i “partiti” sono d’accordo sul taglio, gatta ci cova. Per il momento, allora, Buone Feste.