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La chiusura del Foglio e i sussidi alla stampa. L’opinione di Pennisi

Il Foglio (quotidiano) rischia la chiusura dopo quasi un quarto di secolo di onorata carriera. Ho collaborato alla testata dal 1996 al 2003 e di nuovo dal 2008 al 2015. Ho iniziato la collaborazione con una rubrichetta settimanale (ovviamente non firmata) intitolata i soldi degli altri in materia di finanza internazionale. Dopo poco, iniziai una rubrichetta quotidiana anche essa anonima (di 800 battute) intitolata euro, che trattava del percorso dell’Italia per entrare nell’unione monetaria; per un periodo, durante il governo Amato del 2000-2001, euro veniva alternata con un’altra rubrichetta amato presidente sulla presunte letture scientifico-professionali del Presidente del Consiglio tra una riunione e l’altra.

Quando, dopo una pausa di cinque anni, ripresi a collaborare alla testata, molto era cambiato: non era più un Foglio di quattro pagine formato lenzuolo con articoli (tranne poche eccezioni) rigorosamente anonimi; gli articoli erano firmati, quasi ogni giorno c’era un inserto di quatto-otto pagine. La redazione era cresciuta da quatto a venti persone. I costi di manifattura del giornale erano, naturalmente, aumentati. Collaborai con articoli di economia e di opera lirica. Con il cambiamento di direzione non sono più stato invitato a collaborare e mi dedicai altre intraprese.

Prima di commentare sulla possibile chiusura della testata vorrei fare alcune precisazioni. In primo luogo, da economista e da liberale, non ho mai amato i sussidi alla stampa: drogano il mercato e tengono in vita testate prive di lettori. Non per nulla, la crisi della stampa su carta è particolarmente acuta in Paesi (oltre l’Italia, la Francia) dove c’è una vasta e complessa rete di sussidi, mentre quasi non esiste in Paesi (come la Germania ed il Giappone) dove la stampa è prodotta da editori puri non sussidiati che si reggono sul mercato.

Ovviamente, se si stabilisce un meccanismo di sussidi, tutti gli aventi titolo hanno diritto a competere per fruire di sovvenzioni. In secondo luogo, Il Foglio (quotidiano) rappresentava una novità nel panorama editoriale italiano perché in quattro pagine faceva il bilancio del mondo in una prosa elegante e con una grafica, al tempo stesso, austera ed accattivante che aveva le proprie ascendenze nei feuilles dell’illuminismo francese e nella migliore stampa britannica: dato che gran parte degli articoli erano di collaboratori anonimi, aveva accesso ad informazioni ed analisi anche di persone in stretto contatto con “il Palazzo” che, per i loro ruoli istituzionali, non avrebbero mai potuto scrivere e firmare articoli di giornale.

Queste caratteristiche facevano sì che Il Foglio (quotidiano), nella sua prima fase, pur restando una testata di nicchia, avesse un forte valore aggiunto per i suoi lettori, una gran parte dei quali intuiva (o sapeva) chi erano gli autori testi e da dove provenivano notizie che nessun altro quotidiano aveva o sembrava avere. Devo confessare che da alcuni anni ho smesso di acquistare e leggere Il Foglio (quotidiano) proprio perché non vi trovo più quel valore aggiunto, rispetto a testate più corpose, che un tempo, a mio giudizio, aveva.

Non ho alcun elemento per entrare nella complessa vertenza relativa a indagini della Guardia di Finanza di alcuni anni fa, sui titoli de Il Foglio a fruire dei contributi, sullo stato di salute finanziario della testata, sui presunti tentativi di metterlo in vendita e altre questioni di questo tipo.
Indubbiamente, se Il Foglio cessa le pubblicazioni non solo – come sempre avviene quando un giornale chiude – si perde una voce e con essa un po’ di libertà ma si sancisce la fine di un’epoca.

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