Matteo Salvini, prima delle elezioni europee, ebbe a dire che quella del 26 maggio sarebbe stata la “madre di tutte le battaglie”. E il riferimento era ovviamente alla guerra combattuta, non solo nel nostro continente, dai “sovranisti” contro gli “europeisti” (e viceversa).
Oggi, alla fine del 2019, sul carattere “epocale” di quella battaglia è lecito esprimere qualche dubbio. E non solo perché la spallata dei sovranisti agli assetti di Bruxelles non c’è stata, né a pensarci bene era realistico pensare che potesse esserci, anche in considerazione della dispersione del campo sovranista diviso da opposti interessi al suo interno. Ma anche e soprattutto perché quella battaglia si è conclusa, a ben vedere, senza né vincitori né vinti, rappresentando solamente, nonostante le apparenze, una ulteriore tappa verso lo sgretolamento o la erosione interna dell’Unione europea.
Certo, seppur con i pochi voti determinanti dei Cinque Stelle, Ursula von der Leyen è riuscita a farsi prima nominare ed eleggere, a luglio, presidente della Commissione Europea e poi, con non poca fatica, a far votare, con più ampio margine, a novembre, la Commissione stessa dal Parlamento. Un ampio margine, in questo caso, che a mala pena nasconde il fatto che la maggioranza è divisa oggi non meno dell’opposizione e che sui vari atti di governo la Commissione cercherà in Parlamento maggioranze ogni volta variabili (lo ha detto Ursula stessa in un’intervista a Repubblica uscita la vigilia di Natale). Senza contare, paradosso dei paradossi, che una Commissione che si propone di porre al centro delle sue policies la “svolta ambientalista”, cioè il Green New Deal, nasce con all’opposizione proprio il gruppo parlamentare dei Verdi.
In sostanza, il 2019 ci ha consegnato una situazione molto simile a quella degli anni precedenti, con un’Unione europea percorsa da molteplici e incomponibili faglie di divisione (economiche, politiche, geografiche, culturali…) e in lento declino se non in agonia. Questo però si poteva dire fino al 12 dicembre scorso (è forse questa la vera data “epocale” dell’anno), fino cioè a quando Boris Johnson non ha stravinto le elezioni politiche anticipate in Gran Bretagna allontanando definitivamente l’ombra di un ripensamento sul processo della Brexit. Da quel momento si sono creati invece i presupposti, ad avviso di chi scrive, a che la lenta erosione non sia più lenta e il processo di sgretolamento subisca, già a partire dai primi mesi dell’anno nuovo, una vera e propria accelerazione.
Tutti gli esorcismi e i catastrofismi europei non sembrano essere serviti a niente: la Brexit si farà e non è affatto detto (vedi le reazioni di Donald Trump) che a perderne saranno gli europei di oltremanica e non quelli al di qua. Quella che sembra definitivamente destinata a soccombere è, probabilmente, la strategia o la retorica della “più Europa”, con cui il gruppo di potere che governa a Bruxelles ha cercato di affrontare la crisi.
È sempre più evidente infatti, almeno agli occhi di chi non è accecato dall’ideologia, che non è l’incompletezza e insufficienza dei processi di integrazione, ma il modo in cui essi sono stati concepiti e sono avvenuti (almeno da Maastricht in poi), che ha determinato la crisi. Serve allora non “più Europa” ma “un’altra Europa”: una Europa diversa, più liberale, più vicina alla gente, meno burocratica, meno omologante e più esaltatrice delle diversità che costituiscono la nostra identità. Poiché Europa è la nostra comune madre, e tutti gli uomini liberi non possono non essere europeisti nel senso vero del termine e non in quello in voga nel comune parlare (e che anche io ho usato in questo breve appunto), bisogna solo sperare che prima o dopo emerga qualche grande statista che si prenda la briga di rifondare su nuove basi “l’Unone che ha fallito”.
Poiché neanche i leader o le classi dirigenti si creano a tavolino, come si è creduto di poter fare con l’Europa finora, non resta che affidarsi ad un po’ di retorica e ripetere anche noi, a conclusione di questa nota, le parole dell’inno liturgico: Veni Creator Spiritus.
(Corrado Ocone è autore di “Europa. L’Unione che ha fallito”, un instant book uscito ala vigilia delle ultime elezioni europee e che sarà ripubblicato, in un’edizione riveduta e accresciuta, ad anno nuovo dalla casa editrice Historica)