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Nato, nessun passo indietro in Iraq. Gli interessi di Cina e Russia

Di Gabriele Carrer

“L’Iran non deve mai ottenere l’arma nucleare”. Gli alleati sono “preoccupati dal programma missilistico” di Teheran. “L’Iran deve astenersi da ulteriori violenze e provocazioni, serve una de-escalation e comportamenti responsabili e moderazione”. Sono alcune del parole dette in conferenza stampa dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, al termine della riunione straordinaria degli ambasciatori dei 29 Paesi dell’Alleanza atlantica.

Questo è quanto riguarda l’Iran. Ma il segretario Stoltenberg ha voluto anche lanciare tre messaggi di vicinanza agli Stati Uniti. Il primo: tutti gli Stati membri dell’alleanza sono con gli Stati Uniti nel Medio Oriente, dopo che un drone americano ha ucciso il comandante iraniano Qassem Soleimani (una “decisione Usa e non della Nato”, ha precisato Stoltenberg). Il secondo: la Nato è “unita nel condannare il sostegno iraniano a un gran numero di gruppi terroristici differenti”. Il terzo: “pieno sostegno alla lotta contro lo Stato islamico e alla missione Nato in Iraq”. “In tutto ciò che facciamo”, ha concluso il segretario Stoltenberg “la sicurezza del nostro personale è di primaria importanza. Di conseguenza, abbiamo temporaneamente sospeso l’addestramento sul campo”.

La parola chiave di quest’ultimo passaggio è “temporaneamente”. Infatti, non sembra nei piani a medio termine dell’Alleanza atlantica l’uscita di scena dall’Iraq nonostante le pressioni provenienti da Baghdad oltre che da Teheran. Tanto per rimarcare il concetto Stoltenberg ha aggiunto che “la missione di addestramento è importante sia per l’Iraq sia per noi” in quanto legata alla lotta contro lo Stato islamico.

Non c’è interesse a lasciare l’Iraq a breve anche perché i vuoti in politica estera si riempiono molto in fretta. E in particolare la Nato teme che un ritiro lascerebbe posto ai suoi rivali: la Russia, storicamente prima minaccia per l’Alleanza atlantica, ma soprattutto la Cina, diventata dopo il summit londinese di un mese fa, la principale preoccupazione per Stoltenberg e compagni.

I segnali in questa direzione già ci sono. Ad avanzare l’idea che Mosca e Pechino possano rimpiazzare le forze di Washington nelle attività di assistenza all’Iraq è stato Qais Al Khazali, leader del movimento filoiraniano Asaib Ahl Al Haq ed esponente tra i più influenti del panorama politico sciita iracheno. Come riporta l’Agenzia Nova, infatti, in un video pubblicato sul proprio canale YouTube dopo il voto con cui il Parlamento iracheno ha votato per impegnare il governo a espellere le forze militari statunitensi dal territorio nazionale, il leader sciita ha invitato il governo iracheno a “provvedere al mantenimento della sicurezza senza dipendere da altri Paesi”. Poi, in un capolavoro retorico ha spiegato: “Ci sono tante alternative, come Russia e Cina”. Una posizione condivisa tra l’altro anche dal premier dimissionario iracheno Adel Abdul Mahdi, reduce da un colloquio con l’ambasciatore cinese a Baghdad, Zhang Tao.

A conferma del fatto che l’Alleanza atlantica, e in particolare il suo principale partner cioè gli Stati Uniti, non è interessata a lasciare l’Iraq c’è la durezza con cui il presidente statunitense Donald Trump ha minacciato sanzioni all’Iraq nel caso in cui il governo di Baghdad dovesse procedere effettivamente a espellere le forze a stelle e strisce da basi militari costruite da Washington con “miliardi di dollari”.

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