L’onda delle celebrazioni anniversarie quest’anno si fa più impetuosa, come sempre accade quando ci imbattiamo in annate a cifra tonda, come quella appena cominciata, che dovrebbe (chissà perché poi…) proprio a causa della sua compiutezza segnare passaggi epocali.
La politica delle ricorrenze poi ha da attingere a Craxi, scomparso vent’anni fa e ricordato in questi giorni ben oltre il galateo anniversario dal bel film di Gianni Amelio. In “Hammamet” la luce tremula della memoria di storie che sono appartenute alla cronaca, ma restano infiacchite dai decenni, conduce volentieri a cercare combaciamenti tra maschere e personaggi reali (ma il visitatore chi è, Cossiga, Pomicino o chi? Chi è il compagno socialista con cui discute di questione morale al congresso?) che scorrono nella narrazione di contorno al protagonista, un Favino sorprendentemente reincarnato in Bettino redivivo.
Ma è un gioco inutile, quello degli indovinelli, perché non è questo un film-documentario ma un film-tragedia, quella di un uomo solo destituito dal potere, nella sua ultima stagione. Qualcuno ha scritto: materia da tragedia greca. O shakespeariano. La storiografia, le fondazioni che coltivano la memoria del craxismo e del socialismo italiano, la politica colta (nei suoi ridottissimi ranghi) avranno spazio e tempo quest’anno per raccontare del leader. Per noi solo una nota di sghimbescio. Craxi appare oggi come una lettera del passato remoto: come leggessimo uno scritto nell’italiano un po’ sabaudo di Camillo Benso Conte di Cavour.
Così lontana, infatti, appare quella politica, in cui le tattiche erano strumento servente delle strategie, all’interno di un disegno ideologico. Condivisibile, non condivisibile, sicuramente elaborato e ambizioso. Certo, il mondo era un altro prima della caduta del muro (trentennale appena celebrato), per cui a Sigonella forse ci si poteva pure permettere di digrignare i denti ai Marines americani, sapendo che non si sarebbe strappato niente di definitivo perché l’Italia restava comunque l’ultimo avamposto occidentale prima della cortina di ferro.
Oggi, nell’entropia grigionera della politica, è difficile trovare la linea di demarcazione del mondo, che spesso indulge ad impastarsi e a rimescolarsi per il solo profitto di qualche potentissimo uomo del capitale. Digitale. A Sigonella, però, non fu solo chiamato in causa il testosterone scenico, ma venne esercitata una scelta di politica estera coerente con l’Italia democratica, occidentalista e sicuramente leale nei confronti degli Usa, ma anche indipendente e, per ciò stesso, dialogante con il mediterraneo e il medio oriente. Una politica costruita pezzo pezzo da Enrico Mattei e poi portata avanti dalla Dc di Moro e Andreotti. Craxi stava in questo solco, homo politicus, tra altri politici di razza.
Oggi sarebbe per Craxi persino difficile farsi capire in uno di quei talk show con gli urletti e le parole catatoniche ripetute fino allo sfinimento. Un’ultima cosa: domandiamoci se oggi sarebbe possibile in Italia spazzare via un’intera classe dirigente attraverso quella via giudiziaria che ebbe nel leader socialista il testimonial più abbagliante nel catalogo degli illustri rimossi. Credo proprio di no. E non perché il tasso di castità politica sia salito vertiginosamente (anzi: molti osservatori attendibili sostengono il contrario), ma perché nel frattempo si è squagliata la pubblica opinione che all’epoca aveva sostenuto con straordinaria partecipazione l’azione dei tribunali. I giornali vendono la ventesima parte delle copie di quegli anni e non smuovono più una sola persona. Il popolo è disamorato, disorientato, distratto e diviso. E anche la politica non si sente troppo bene. Meno male che ci sono anche i 500 anni di Raffaello.