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L’Oms se la prende con i brevetti ma… Il commento di Bandini (Competere)

Di Giacomo Bandini

Il comitato esecutivo dell’Organizzazione mondiale per la sanità (Oms) si riunirà dal 3 all’8 febbraio per stabilire la propria agenda annuale e le priorità del 2020. I temi più caldi sul tavolo sono la nuova epidemia generata dal coronavirus, l’antibiotico-resistenza che causa settecentomila morti all’anno e l’accesso alle cure di base che rimane ancora basso per milioni di persone. Uno dei temi più nascosti al pubblico, ma centrale nei lavori del comitato, è quello della proprietà intellettuale. Spesso l’Oms ha additato i brevetti farmaceutici come la causa della scarsa possibilità di accesso alle cure, rivelando un certo sentimento anti-industriale e anti-innovazione. Ma è veramente così? È colpa dei brevetti sui farmaci se milioni di persone rimangono escluse?

Siamo abituati a credere che le politiche pubbliche sanitarie governative tutelino i pazienti e coprano i costi diretti dell’assistenza sanitaria. Tuttavia, un recente studio condotto su 50 paesi a basso e medio reddito ha rivelato che in solo sei di questi i cittadini avevano accesso ai trattamenti di base senza dover pagare di tasca propria. Allo stesso tempo 150 milioni di persone ogni anno spendono più di quanto è nelle loro disponibilità per accedere alle cure di base. Per fare un esempio, in India (dove spesso il governo ha imposto violazioni del brevetto sul farmaco) il 65% dei servizi assistenziali pubblici è a carico del paziente. Nelle Filippine il 54%, in Sri Lanka il 50%, in Indonesia il 37% e in Cina il 35%. Si tratta del 40% della popolazione mondiale.

Secondo un report della stessa Oms, in tutto il mondo mancano 7,2 milioni di operatori sanitari, che saliranno a 12,9 milioni entro il 2035. 83 paesi, oggi, non riescono a raggiungere la soglia base di 23 operatori sanitari qualificati ogni 10.000 persone. Le infrastrutture sanitarie non sono sufficienti per coprire il fabbisogno sanitario di gran parte della popolazione. Il 70% dei poveri vive nelle aree rurali, ma un rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) mostra che il 56% delle persone che vivono nelle aree rurali non hanno accesso ai servizi sanitari – più del doppio rispetto alle aree urbane (22%).

È chiaro che tale carenza di professionisti e di strutture pone ostacoli anche all’accesso alle cure specialistiche come, ad esempio, avviene in Vietnam e nelle Filippine dove l’accesso ai farmaci per il diabete è ancora molto limitato. Oppure in Colombia e Brasile dove in determinate aree il 60% delle persone dichiara di non avere potuto consultare personale specializzato nelle strutture pubbliche. All’origine di questi problemi non vi sono solamente condizioni di povertà o sottosviluppo. I pazienti devono spesso attendere a lungo per poter avere accesso ai nuovi farmaci. Succede anche in un sistema elogiato e preso a modello come quello italiano. A causa della lentezza burocratica e di regolamentazione, possono volerci anni prima che un nuovo farmaco diventi disponibile.

Persistono ritardi significativi di approvazione in India, Taiwan, Singapore e Malesia con una media di 400-500 giorni. Tuttavia questo tempo sembra poco in confronto al tempo medio di revisione per un nuovo farmaco o un vaccino in Indonesia dove ci vogliono 1057 giorni e nei Paesi dell’Africa sub sahariana in cui la media della durata dell’iter di approvazione può variare dai quattro ai sette anni.

Dunque perché l’Oms ha tutto questo interesse a ostacolare la proprietà intellettuale attraverso pratiche quali il compulsory licensing? La tutela dei brevetti significa innovazione. Significa incentivare nuove invenzioni e incoraggiarne la diffusione. Se è vero che l’Oms, come sostiene, vuole puntare sull’innovazione tecnologica non si comprende per quale motivo cerchi di rallentarne lo sviluppo. Pubblico o privato che sia. Al contrario sarebbe più utile un atteggiamento di apertura e cooperazione tra le parti, con il coinvolgimento dei governi e dei privati. Perché l’Oms non bacchetta l’inadeguatezza delle burocrazie e dei governi locali? Forse perché è più facile prendersela con lo spauracchio dell’industria farmaceutica (che in Italia peraltro sta trainando un buon prezzo di crescita) che con l’inadeguatezza di chi ti finanzia e ti sostiene. La salute non ha prezzo, dicono. L’innovazione invece ce l’ha. Perché non riconoscerne il valore?

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