Alla fine il destino e la libertà di Edward Snowden potrebbero essere in mano a Pechino. La fonte che ha rivelato la pervasività dei programmi di spionaggio statunitensi ha detto in un’intervista al Guardian di aver scelto Hong Kong come rifugio perché il rispetto della libertà d’espressione è tradizione dell’ex colonia britannica. Dal 1997 è tuttavia tornata alla Cina, sotto la formula di “un Paese due sistemi” che garantisce al governo locale ampia autonomia, eccezion fatta per la difesa e le relazioni estere.
La scelta di Hong Kong ha già fatto insospettire alcuni commentatori. L’ex agente Cia, Bob Baer, ha detto alla Cnn che dietro tutta la vicenda ci potrebbe essere proprio Pechino. Le inchieste del Guardian e del Washington Post frutto delle rivelazioni del 29enne consulente che sono state pubblicate alla vigilia del vertice informale tra Barack Obama e il suo omologo cinese Xi Jinping. Un incontro con in cima all’agenda il tema dello spionaggio informatico, dopo mesi di accuse statunitense di intrusioni cinesi che avrebbero violato agenzie governative e soprattutto aziende.
Il caso Snowden è però uno di quelli che in passato la dirigenza cinese ha mostrato imbarazzo a gestire. Le parti erano inverse, si trattava di cinesi che avevano trovato rifugio nelle rappresentanze diplomatiche statunitensi. Nella primavera dell’anno scorso ci fu il caso di Chen Guangcheng, attivista per i diritti civili che riuscì a fuggire della detenzione illegale e rifugiarsi nell’ambasciata americana a Pechino e partire infine per gli Usa con una borsa di studio.
Due mesi prima fu invece l’ex super-poliziotto della megalopoli di Chongqing, Wang Lijun, a cercare riparo nel consolato Usa di Chengdu. Le rivelazioni di Wang, condannato in seguito a 15 anni di carcere per abuso d’ufficio e corruzione, diedero inizio allo scandalo che ha travolto l’ex stella della politica cinese, Bo Xilai ancora in attesa di processo.
Notano alcuni commentatori su Twitter che per la Cina potrebbe essere arrivato il momento di restituire il favore ricevuto quando gli statunitensi decisero di mandare via Wang dal consolato. Tra gli Usa e l’ex colonia britannica c’è un accordo d’estradizione raggiunto prima del ritorno alla Cina, che tuttavia prevede per Pechino il diritto di veto nel caso possano esserci ripercussioni in politica estera, sulla difesa o su temi di interesse pubblico.
La Repubblica popolare potrebbe avvalersene e in questo modo andrebbe incontro alle posizioni dei difensori della libertà d’espressione e di parola. Tema centrale nel rapporto tra l’ex colonia britannica e la Cina continentale, dove le due libertà subiscono non poche restrizioni e le cui pressioni e interessi hanno portato anche la stessa stampa di Hong Kong ad autocensurarsi. C’è quindi chi si chiede cosa ci guadagnerebbe Pechino a sostenere di fatto possibili sacche di dissidenza contro sé stessa.
Allo stesso tempo il veto può essere letto come l’ennesima ingerenza di Pechino nella politica hongkonghese, con il governo locale accusato di essere troppo accondiscendente con le richieste cinesi.
L’alternativa per Snowden potrebbe essere la richiesta di asilo politico motivata con il rischio di persecuzione. Una soluzione che gli permetterebbe almeno di prendere tempo.