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La guerra alle porte dell’Europa. L’analisi del generale Graziano

Di Claudio Graziano

Nuovi tipi di minacce asimmetriche, ibride, trasversali per definizione, rese particolarmente insidiose dalla loro natura mutevole, si aggiungono a quelle tradizionali che permangono e sono quelle che determinano la deterrenza e la difesa collettiva. L’instabilità e l’imprevedibilità sono variabili onnipresenti. Il ritmo elevato dei cambiamenti rende improcrastinabile la creazione di una difesa comune. In un contesto geopolitico in così rapida evoluzione gli interessi di tutti gli Stati membri dell’Unione europea infatti risultano inscindibilmente connessi. E una risposta coordinata dell’Unione europea alle minacce esistenti risulta quanto mai necessaria. La situazione in Libia ha chiaramente mostrato l’elevato prezzo della divisione e dell’esitazione tra gli Stati membri. Gli eventi che si sono verificati in Libia e in Iraq, ma anche il deteriorarsi della situazione di sicurezza nel Sahel, che alla Libia è molto collegata, non erano infatti certamente del tutto imprevedibili, poiché i sintomi di queste crisi erano ben visibili da tempo. Ciò che invece potrebbe ancora rappresentare una sorpresa è la portata dei loro effetti nel medio e nel lungo termine.

GLI SCENARI IN NORD AFRICA E SAHEL

Dalla Libia al Sahel lo scenario generale di crisi può essere visualizzato come una relazione triangolare tra l’instabilità, l’immigrazione incontrollata e il terrorismo. Il crollo di alcuni Stati, l’instabilità che ne deriva, insieme ai flussi di immigrazione incontrollata, fa registrare un aumento di criminalità e crea le condizioni fertili per la diffusione delle minacce terroristiche. A complicare tale quadro, già di per se estremamente complesso, vanno evidenziate pesanti ingerenze di singoli Paesi anche in aree tradizionalmente considerate di nostro diretto interesse strategico che aggiungono ulteriori incognite. Ci troviamo di fronte a singoli attori statuali alla ricerca di un proprio ruolo rilevante che perseguono proprie strategie e spesso colmano vuoti lasciati da altri. E l’esempio libico mi sembra anche troppo evidente. C’è bisogno dunque da parte della comunità internazionale di una risposta strategica rapida e forte. Risposta che è necessaria prima che si raggiunga un punto di non ritorno. Rammento che in Libia la crisi è cominciata nel 2011 e ora siamo nel 2020.

LUe ha sicuramente perso delle occasioni. Non ha saputo trovare una voce comune nel prendere iniziative ed evitare il prevedibile degrado della situazione. Adesso l’Ue in primis deve adottare un approccio proattivo. Gli esiti degli ultimi Consigli dei Ministri degli Affari esteri e della recente Conferenza di Berlino sembrano mostrare un rinnovato positivo ottimismo. E proprio in questi giorni le istituzioni europee e le capitali sono al lavoro per individuare anche a breve termine le soluzioni che possano dare risposte concrete ed efficaci. E’ evidente che ora si debba con urgenza passare dagli intenti ai fatti. Ed in questo gli Stati membri hanno un ruolo determinante in quanto proprio a loro è rimessa la responsabilità di definire ed approvare le azioni conseguenti. C’è una chiara urgenza di agire.

LA NUOVA STRATEGIA GLOBALE DELL’UE

Adottata nel 2016, è stato il primo passo concreto che ha permesso di identificare minacce e problemi indicando le soluzioni per affrontare le sfide interne ed esterne. Nel corso dell’ultimo decennio gli europei hanno imparato o reimparato l’importanza di una diffusa stabilità – dall’Ucraina alle rive del Mediterraneo, dai Balcani occidentali al Sahel , e non mi spingo verso lo stretto di Hormuz – e la necessità di investire sulla costruzione di stabilità più a lungo termine e sulla prevenzione delle crisi. Per tradurre questa consapevolezza in azione la strategia globale richiama il pragmatismo di principio attraverso proposte solide e convergono nella cosiddetta autonomia strategica per un’Europa più forte e responsabile. Uno spazio autonomo per l’Unione europea è individuato ad esempio nel capacity building, inteso come processo di volto ad aiutare i Paesi in crisi (Libia, Mali) a rimettersi sulle proprie gambe, supportandoli da un punto di vista non soltanto militare ma anche in termini di sviluppo economico e di ricostruzione degli apparati istituzionali.

IL FONDO EUROPEO PER LA DIFESA

Nonostante la somma dei bilanci per la Difesa dei singoli Stati membri sia seconda solo a quella degli Stati Uniti, a meno di sorprese dell’ultimo momento della Cina, esiste ancora un evidente squilibrio tra ricerca, operazioni, addestramento, spese per lo sviluppo di capacità, per il personale e per il funzionamento. Da un lato c’è la necessità di aumentare i fondi per gli investimenti in capacità, e dall’altro quello di efficientare globalmente le spese evitando duplicazioni e creando economie di scala. Uno degli obiettivi chiari è quello di contribuire al miglioramento della cooperazione europea in materia di difesa evitando sprechi e duplicazioni di risorse anche dal punto di vista industriale. Il Fondo europeo per la difesa getta le basi affinché l’industria Ue di settore mantenga in Europa il know-how e la capacità di ricerca e sviluppo che sono strumenti in grado di garantire un’autonomia strategica a lungo termine. E’ peraltro fondamentale ricordare che ciò che otterremo con l’Edf per l’Ue sarà vantaggioso anche per la Nato.

MISSIONI E OPERAZIONI

Le missioni addestrative e le operazioni militari sono naturalmente l’attività centrale della politica comune e di sicurezza e difesa, realizzate grazie al contributo degli Stati membri in alcune delle aree più complesse e pericolose del mondo. Lo sforzo principale si concentra con l’Africa, dove si trovano le cause principali alla radice delle attuali crisi e in cui l’UE vuole e può agire coerentemente con i suoi interessi primari promuovendo la sicurezza e la stabilità . Attualmente l’UE conduce sei tra missioni e operazioni. Una di queste è l’operazione Sophia e poi in Somalia, in Repubblica Centrafricana, Mali. In aree di crisi geostrategicamente collegate alla Libia. Si tratta di Paesi fortemente destabilizzati che hanno assoluto bisogno di urgente assistenza con situazioni di crescente insicurezza. La configurazione attuale di tali missioni esclusivamente addestrative , contenute nei numeri e nelle tipologie di assetti a disposizione, limita spesso il raggio di influenza e le capacità stesse di conseguire gli obiettivi prefissati, esponendo al tempo stesso il personale e notevoli rischi. Ciò comporterà il bisogno di aumentare il livello di contribuzione in termini di risorse umane e materiali da parte degli Sati membri. Quindi anche una maggiore assunzione di responsabilità da parte dell’Ue.

COOPERAZIONE CON LA NATO

L’Ue lungi dal voler essere un elemento solista nel campo della sicurezza e difesa presta molta attenzione al campo della cooperazione in generale, partenariato, e a quella con la Nato in particolare. Il rafforzamento dell’Ue non solo aumenterà la capacità dell’Ue di agire autonomamente quando necessario ma rafforzerà il contributo dell’Europa alla Nato e la cooperazione con altri partner. La Nato sarà sempre il pilastro della difesa collettiva in Europa. L’Ue e la Nato devono quindi continuare a lavorare insieme ad essere partner veramente sinceri complementandosi ed integrandosi su molte questioni di interesse comune. Solo in questo modo si potrà passare realmente dalla dichiarazione all’attuazione dei progetti. E un’Europa più forte rende più forte la Nato.

BUONI PROPOSITI PER LA DIFESA COMUNE

Cosa dobbiamo fare per rendere sempre più concreta e credibile la difesa europea? A mio parere le principali rimangono essenzialmente tre. Prima di tutto dovremo essere in grado di comunicare adeguatamente il senso di urgenza nel dover intervenire alle radici delle potenziali cause di instabilità internazionale e del terrorismo. In secondo luogo gli Stati membri devono dimostrare il loro impegno a irrobustire le nostre operazioni e missioni che sono la parte centrale della politica di sicurezza e difesa comune. In terzo luogo gli Stati membri devono continuare a lavorare per il raggiungimento di una piena integrazione nello sviluppo capacitivo non seguendo approcci nazionali ed egoismi, dimostrando unità di intenti. Non c’è alternativa all’Unione europea della difesa. Ma può essere realizzata solo condividendo e comprendendo missioni comuni. Ciò che serve ora è che l’unità di scopo si trasformi in unità di azione. In questo particolare momento strategico per l’Europa è quanto mai importante essere presenti e protagonisti aprendo iniziative, facendosi parte attiva delle iniziative in atto e investendo sia in termini di risorse di personale che di risorse materiali.

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