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Così Renzi conferma la virata al centro (e la legislatura va). L’opinione di Ocone

Né con te, né senza di te. È questa la posizione che Matteo Renzi ha oggi verso il governo che egli più di altri ha contribuito a far nascere l’estate scorsa. E che risulta confermata dall’assemblea di Italia Viva che si è tenuta oggi a Roma.

È una questione di opportunità politica. Che la legislatura continui Renzi ne ha necessità quanto e più degli altri: per rinforzare il suo partito con il potere (vedi anche al capitolo “nomine”) e per prendersi il tempo necessario per farlo crescere e fargli assumere una dimensione elettoralisticamente appagante. Egli deve perciò stare dentro e non tirare troppo la corda, ma anche distanziarsi quanto più possibile dalle altre forze della maggioranza, in primo luogo dal suo ex partito, oggi diretto da Nicola Zingaretti.

Così facendo, è indubbio che Italia Viva vada costruendosi una propria identità ben definita, a sinistra come forza riformistica, ma anche al centro come forza moderata e “liberale”. Una identità che di fatto manca o è flebile nel mercato politico, anche se non è dato sapere quanto appeal possa avere in un tempo di polarizzazione estrema e contrapposizioni nette. In questo senso, il Partito democratico odierno aiuta Renzi non poco: sia per il prevalere in esso di una componente statalista, socialista e redistributiva delle risorse (soprattutto attraverso una tassazione mirata), sia per il compromesso a tinte “giustizialiste” che Zingaretti si è di fatto visto costretto a firmare con i Cinque Stelle.

Ed è proprio su questo punto, in particolare sulla prescrizione, che Renzi ha avuto anche oggi buon gioco nel criticare la “cultura delle manette”, aggiungendo significativamente di non avere problemi a “stare con Forza Italia” se del caso. È chiaro che l’esempio, estrapolabile senza dubbio dal suo contesto specifico, ha un significato politico più vasto, soprattutto se lo si lega all’antisalvinismo sbandierato ed estremo del senatore di Rignano. È evidente che Italia Viva si tenga pronta e auspichi uno spostamento verso di essa del ceto moderato che oggi continua a fare riferimento al partito di Silvio Berlusconi, a cui non andrebbe giù uno smottamento a Destra di Forza Italia qualora il partito implodesse.

“I tre minuti del populismo in Italia” sono finiti, ha poi detto nel suo intervento Renzi. L’affermazione non va però considerata altro che uno scatto volontaristico, sia perché quello che più o meno correttamente si chiama “populismo” non è affatto finito ed è forse consustanziale alla politica mediatizzata dei nostri tempi (tanto che anche Zingaretti ha dovuto servirsi nelle ultime elezioni di un movimento populistico come quello delle Sardine); sia perché ampie dosi di populismo sono presenti, sin dai tempi del suo affacciarsi sulla scena del potere nazionale, anche nell’azione politica e soprattutto nella retorica, renziane.

L’assemblea ha poi sconfessato le voci di una uscita dalla maggioranza di Italia Viva, che secondo alcuni sarebbe pronta a passare all’appoggio solo esterno al governo. Credo che Renzi su questo punto sia sincero: anche se questa mossa favorirebbe il suddetto processo di costruzione di una identità in previsione del futuro, l’obiettivo può essere raggiunto anche stando nell’esecutivo secondo il consolidato schema di “partito di lotta e di governo”. Non precludendosi, in questo modo, quelle quote di potere e di sottogoverno che per un partito appena nato sono essenziali.

Giuseppe Conte può quindi “stare sereno”? Non saprei, ma l’impressione è che la spallata al suo governo, sempre più improbabile, se mai ci sarà, non arriverà da questa parte (per motivi di opportunità politica e non certo per quel rispetto della parola data che in politica è oggi più che mai una chimera, come lo stesso Renzi ha in altre occasioni avuto modo di dimostrare).



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