Cinquantotto vescovi cattolici, provenienti da venti Paesi di tre Continenti (Europa, Asia e Africa), vivranno a Bari dal 19 al 23 febbraio un percorso sinodale. L’obiettivo è chiaro: costruire un sentiero di pace nel Mediterraneo. Ma l’incontro di Bari, che sarà suggellato dalla celebrazione eucaristica di Papa Francesco, è solo un cantiere aperto. L’inizio di un processo, così caro alla visione di Chiesa del Papa, che a più riprese ha sostenuto la responsabilità dei cristiani nel predisporre percorsi. Perché – come ha affermato nella Evangelii gaudium – “il tempo è superiore allo spazio”. E di conseguenza, la preoccupazione dei cristiani dev’essere quella di occupare il tempo (nel segno della persistenza della vita di fede) e non lo spazio sempre angusto e caduco del potere.
Fatta questa premessa che dovrebbe facilitare la comprensione di trovarsi dinanzi a un evento propriamente di Chiesa, nessuno si nasconde la valenza culturale e geopolitica di questo appuntamento barese. Nella consapevolezza che i cristiani, proprio attraverso le loro comunità, e nella fedeltà dovuta alle leggi delle singole Nazioni e allo spirito dei diversi popoli, contribuiscono con la loro vita e con le loro opere al destino dei Paesi in cui vivono e possono influenzarne positivamente il dibattito pubblico e il sentimento nazionale.
Non mancherà, dunque a Bari, un dato di realismo: la compresenza di Chiese nazionali numericamente forti come quelle europee e pure profondamente assediate dalle culture dominanti del relativismo e dell’individualismo e Chiese nazionali piccole, al limite del piccolo gregge, e in taluni casi anche perseguitate e vittime predestinate dei conflitti che hanno devastato il quadrante mediorientale. Un esempio per tutti, sul fronte delle Chiese cristiane di minoranza, è l’Algeria, con i suoi ottomila fedeli, tra i quali si calcola duemila praticanti su una popolazione complessiva di 41 milioni di abitanti. Così come non mancheranno sicuramente le voci cristiane (e martiri) provenienti dai Paesi lacerati dalla sanguinosa guerra scatenata dallo Stato islamico.
Ma proprio questa consapevolezza dovrebbe spingere tutti a guardare, come è nell’auspicio del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, al Mediterraneo secondo la profezia di Giorgio La Pira. Cioè come un “grande lago di Tiberiade”, una sorta di spazio non solo geografico ma storico, sul quale si affacciano 500 milioni di persone (il 17% delle popolazione mondiale) che producono circa il 10% del Prodotto interno lordo mondiale. Già queste cifre, da sole, dimostrano quanto sia strategico questo piccolo spazio geografico (se raffrontato con l’intero globo terrestre) per il futuro di tutta l’umanità. Ma soprattutto questo è il luogo della complessità, dove Oriente e Occidente si sono nei secoli incontrati e scontrati, dove più forte e talvolta dolorosissimo è stato il conflitto religioso e interreligioso, dove la frontiera fra guerra e pace e fra benessere e povertà si è più volte scomposta e ricomposta.
Ecco perché è importante l’incontro di Bari, innanzitutto per ascoltarsi. Come ha sottolineato efficacemente Pierbattista Pizzaballa, arcivescovo e amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, “il problema dell’Occidente è che parla di noi e non parla con noi”. E se lo dice lui che è presidente del Cerla (Conferenza dei vescovi latini delle Regioni arabe) di cui fanno parte il Nord e Sud Arabia, Qatar, Kuwait, Yemen, Libano, Iraq, Somalia, Siria, Terra Santa con Israele e Palestina, Giordania… abbiamo il sospetto che sia profondamente vero.
Dunque, Bari sarà la palestra di un dialogo vero fra le diverse sponde del Mediterraneo. Un dialogo incarnato nei drammi del nostro tempo: le migrazioni epocali e le guerre, le persecuzioni di interi popoli e le violazioni dei diritti umani, il bisogno disperato di mezzi per avviare lo sviluppo (“il nuovo nome della pace” indicato da Paolo VI).
Non ci resta che aspettare per capire se davvero il meeting di Bari sarà il teatro di un dialogo, franco e fraterno, come dovrebbe essere nello spirito sinodale (fatto di ascolto e di discernimento comunitario) annunciato e voluto dai vescovi italiani che hanno promosso l’incontro. Così come prendiamo in parola la rassicurazione del cardinale Bassetti: “Non ci sono risultati preordinati e non mi aspetto di raggiungere obiettivi strabilianti”. Ma l’avvio di un dialogo duraturo questo sì, non solo fra i cristiani, ma anche con i musulmani. Perché, come ha affermato recentemente Pizzaballa, “non si può vivere insieme ai musulmani senza parlare con loro”.
E certamente un aiuto in questa direzione viene anche dal Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi, firmato da Papa Francesco e dal grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb. Ma tutto questo ancora non basta. Il vero problema sta nel costo umano del dialogo e nella disponibilità dei cristiani d’Occidente a pagarlo, quel prezzo.