Dal Festival dell’Energia 2013, Corrado Clini interviene a chiusura del talk show “Diritto all’energia, democrazia dell’energia” (venerdì 24/05).
Le parole di Corrado Clini arrivano a ribaltare le prospettive e le analisi fatte finora su come aiutare i paesi in via di sviluppo e su come evitare tendenze colonialiste vecchio stampo. “I Paesi in via di sviluppo sono molto più avanti di questi ragionamento – sostiene Clini – e lo sono non certo grazie al nostro aiuto, ma grazie all’intervento di paesi emergenti come la Cina, che si sono mossi con atteggiamento molto poco filantropico, probabilmente, ma certamente più efficace. Come sempre, non dover fare i conti con i sensi di colpa, in questo caso per secoli di colonialismo vero, aiuta a definire strategie precise“.
L’attuale Direttore del Ministero dell’Ambiente ha infatti seguito da protagonista i negoziati e le trattative per la definizione dei Millennium Development Goals fin dal 1995. Ma dal momento in cui i paesi occidentali si sono posti come obiettivo quello si sostenere lo sviluppo nei paesi del terzo mondo, le cose sono rapidamente cambiate, tanto da ribaltare la situazione. Quando si è cominciato a ragionare di questi obiettivi infatti il mondo sembrava rigidamente diviso in due: da una parte i paesi sviluppati e dall’altra i paesi in via di sviluppo, gli uni impegnati a sostenere gli altri, con diverse politiche e strumenti.
“Questa distinzione non esiste più – continua Clini – le politiche di cooperazione internazionale devono essere riviste. L’approccio che oggi stiamo portando avanti, Energy for all, supera questa divisione e definisce invece una strategia comune, globale, legata alla crescita. In questo quadro, il diritto all’energia è parte della strategia per la crescita, che responsabilizza tutti allo stesso modo”.
Un elemento che è confermato dal fatto che oggi coloro che operano con maggiori risultati nei paesi in via di sviluppo sono le economie emergenti, per esempio Cina e Brasile: sono loro che stanno accelerando il processo di accesso all’energia per la crescita in queste economie. In pochi anni, hanno realizzato quello che l’Europa non ha fatto in 40 anni.
Clini propone poi una riflessione sull’efficacia delle nostre politiche per lo sviluppo: “L’aiuto europeo allo sviluppo non ha fatto crescere le economie dei Paesi in cui è intervenuto, è sotto gli occhi di tutti“. Dopo il periodo del colonialismo, alla fine degli anni ‘50 e ‘60, la collaborazione allo sviluppo da parte dei Paesi europei non ha favorito la loro crescita; si è concentrato su altre problematiche – parità, scuola, diritto alla salute – ma non ha creato le condizioni per la crescita e quelle aree sono rimaste sottosviluppate. Grazie all’intervento di Cina, Brasile, Corea, invece, diventano competitors anche per l’Europa. L’Africa è un continente destinato a competere, sempre di più. Quello che vogliono e quello che serve è una infrastruttura per la crescita. E’ interessante quanto accade dal punto di visto tecnologico: l’attenzione va alle soluzioni più innovative. “Se la Cina investe di più degli USA non è dovuto al loro interesse verso il mercato europeo – aggiunge Clini – se la Cina investe in maniera importante nella ricerca sulle rinnovabile è perché ne ha bisogno nei suoi territori, sopratutto nelle regioni provinciali dove ha bisogno di energia immediatamente disponibile, senza la realizzazione di dispendiosi progetti di rete, a bassi costi infrastrutturali. Lo stesso vale per l’Africa”. “È vero, continua a esserci una parte povera, ma questa non può essere identificata con l’intero continente. Per questo, una politica europea per l’Africa non può rivolgersi solo a questa parte marginale, ma deve entrare in questa partita e fornire all’economia africana gli strumenti per competere. Il negoziato di Rio de Janeiro si è sviluppato intorno a questi elementi e proprio per queste ragioni è stato durissimo.
Anche l’Italia deve porsi in quest’ottica. Lo sviluppo delle rinnovabili, gli investimenti in tecnologie innovative non devono essere immaginati per rispondere alle esigenze del mercato nazionale, che non sarà mai abbastanza potente da sostenere investimenti della portata necessaria. “Quello che è importante – sostiene Clini – non è aumentare la capacità di energia solare in Italia, ma piuttosto sviluppare e testare nel nostro Paese tecnologie che servono in Cina, in Congo, in Angola, in Brasile, in Etiopia, in Sudafrica”.
Ma c’è un altro elemento su cui bisogna intervenire: le reti. I Paesi emergenti hanno bisogno di energia disponibile subito e di reti efficienti per non sprecarla. “Dobbiamo anche capire – conclude Clini – che l’esigenza non è ambientale, ma economica. L’ottica in cui questi Paesi si muovono è limitare i blackout che rallentano la crescita, prima di salvaguardare l’ambiente. La riduzione delle emissioni è un positivo effetto secondario”.
Reportage fotografico Festival 2013 a cura di Matteo Casilli.