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Pensioni. Prima della riforma, i numeri. Il commento di Pennisi

Dopo le prime quattro tornate di incontri con i sindacati, il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo ha annunciato che il 13 marzo presenterà la posizione di partenza per una riforma del sistema previdenziale in grado di traghettare il sistema al dopo Quota 100 con nuove forme di flessibilità in uscita che siano finanziariamente sostenibili. Prima di formulare proposte è bene fare chiarezza sui conti. Ad esempio, il rapporto Istat Condizioni di vita dei pensionati 2017-18 pubblicato a metà gennaio ed considerato come la Bibbia per giungere ad una riforma della pensioni, deve essere preso con le molle perché accanto a numeri certi – ad esempio, siamo giunti a 606 pensionati per mille occupati- alimenta una certa confusione tra spesa previdenziale sorretta da contributi effettivamente versati e spesa pensionistica a carattere in gran misura assistenziale. Secondo il rapporto, la spesa previdenziale sarebbe giunta al 16,6% del Pil (a ragione delle tendenze demografiche e della stagnazione dell’economia) ma tale livello – 293,3 miliardi di euro nel 2018- include spese a carattere assistenziale.

Un contributo importante a fare chiarezza è il settimo Rapporto del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali uscito in questi giorni e che ha ricevuto dalla stampa meno attenzione di quella che avrebbe meritato. Il punto centrale del documento è che il bilancio previdenziale in senso stretto dell’Inps è in attivo (+ 35, 247 miliardi nel 2018) mentre il bilancio assistenziale Inps raggiunge (sempre al 2018) ben 116,466 miliardi di euro (ossia il 4,56% del Pil). Ciò rispecchia un’Italia in cui in cui solo il 49% della popolazione presenta la denuncia dei redditi e paga le tasse e ben 8.286.787 di cittadini ricevono una pensione assistenziale. Ed è un quadro inquietante che dovrebbe fare riflettere: perché gravare, con oppressione fiscale, i soliti tartassati e non cercare, invece, di ridurre l’elusione e l’evasione con meccanismi di contrasto di interessi come avviene in altri Paesi?

Andiamo avanti. Nel 2018, il numero delle pensioni Inps (previdenziali ed assistenziali) è stato di 22.785.711, perché i 16.004.503 pensionati ricevono, ciascuno, 1,43 pensioni a testa. Ossia il 51,78% dei pensionati Inps fruisce di una pensione non legata a contributi versati, ossia di una pensione assistenziale. Dal 2008 al 2018, la spesa previdenziale in senso stretto è cresciuta dell’1,4% l’anno, mentre quella assistenziale è aumentata del 4,3%. La spesa assistenziale farà un balzo nel 2020 quando si aggiungerà il discusso e discutibile reddito di cittadinanza.

Il numero dei pensionati Inps 2018 (16.004.503) è il più basso degli 22 anni mentre il rapporto tra lavoratori attivi/pensionati (1,45) è il miglior risultato degli ultimi 22 anni e tenderà a crescere – nonostante il reddito di cittadinanza – per progressiva scomparsa dei titolari di pensione da più di 38 anni (pensioni baby e simili). Occorre fare chiarezza separando, nel bilancio complessivo Inps, il bilancio assistenziale da quello previdenziale. Sarà così chiaro che il livello della spesa assistenziale è diventato elevatissimo a ragione di politiche economiche che hanno frenato la crescita ed aumentato disoccupazione e disagio. Non sarebbe un maquillage ma il certificato del fallimento di politiche economiche seguite da otto anni. Tale separazione è prevista dalla legge n. 88 del 1989, la cui attuazione è stata molto parziale.

Occorre, poi, una banca dati sull’assistenza con un codice a nucleo familiare per avere contezza di tutte le prestazioni erogate dallo Stato, dagli Enti pubblici e dagli Enti locali, cui associare le prestazioni offerte dal privato. Ciò consentirebbe di conoscere correttamente quanto ogni soggetto e ogni nucleo familiare percepisca dai vari Enti erogatori e di ottenere (verosimilmente, come già’ avvenuto per il reddito di cittadinanza) risparmi valutabili sui 100 milioni di euro, ora a carico della fiscalità generale.



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