Nel giorno in cui si vota in Nevada, la questione centrale di questa campagna pare diventata per chi vota Vladimir Putin. Dopo che l’intelligence ha riferito al Congresso che la Russia sta manovrando a favore della rielezione di Donald Trump, Bernie Sanders è stato informato che Mosca sta dandosi da fare per la sua nomination, immischiandosi nelle primarie democratiche.
Lo riferiscono sia il Washington Post che il New York Times, secondo cui l’intelligence ha messo al corrente delle mene russe anche la Casa Bianca e lo stesso Sanders. Che ha subito reagito, durante un comizio a Bakersfield, in California: “Francamente non mi interessa chi Putin vuole come presidente. Il mio messaggio a Putin è chiaro: stia alla larga dalle elezioni americane. Quando sarò presidente, me ne assicurerò”.
“A differenza di Trump – ha proseguito Sanders -, non ritengo Putin un buon amico: è un furfante, un autocrate che sta tentando di distruggere la democrazia e che reprime i dissidenti in Russia”. Mosca vuole “minare la democrazia americana dividendoci, ma, a differenza dell’attuale presidente, io sono fermamente contro questi sforzi”. Il senatore ha anche ipotizzato che “gli attacchi violenti attribuiti alla mia campagna su internet potrebbero non arrivare da veri supporter”.
Pure Joe Biden è saltato sull’argomento, sfruttandolo in senso contrario: la Russia e Putin – dice – “non vogliono che io sia il presidente” e Trump, che nei suoi tweet tifa Sanders, “non vuole che conquisti la nomination”. Lo stesso possono dire, almeno finora, gli altri aspiranti democratici.
I caucuses in Nevada, uno Stato grande quasi come l’Italia con tre milioni di abitanti, assegnano 36 dei 48 delegati dello Stato alla convention democratica di Milwaukee dal 13 al 16 luglio. Sanders li affronta da favorito, mentre alcuni suoi rivali, specie Amy Klobuchar e Elizabeth Warren, oltre che i voti devono contare i soldi nelle casse, che sono pericolosamente vuote.
Stando ai dati del Comitato nazionale democratico, Sanders a inizio febbraio aveva quasi 17 milioni di dollari in banca, seguito a distanza da Biden con 7,1 milioni e Pete Buttigieg con 6,6 milioni . La Warren era la più in difficoltà con soli 2,3 milioni, la Klobuchar aveva 2,9 milioni. Ma febbraio è stato finanziariamente buono per le due candidate: la Warren ha ben monetizzato il dibattito del 19, da cui è uscita vincitrice; la Klobuchar i risultati positivi in Iowa e New Hampshire.
E, in vista del SuperMartedì del 4 marzo, la senatrice del Minnesota, che ha già avuto l’endorsement del New York Times, condiviso con la Warren, incassa l’endorsement del San Francisco Chronicle – Seattle Times, perché “è abbastanza pragmatica da evitare promesse facili da fare ma impossibili da mantenere, ha dimostrato di essere brava ad ascoltare e di avere un senso dell’umorismo che le consente di dire quello che pensa e di farlo in modo civile, ha le capacità di unire il partito” dopo le primarie “e, se eletta presidente, di restituire integrità, disciplina e dignità alla presidenza”. “Ed è la scelta migliore nel cruciale tentativo” di rimuovere Trump: “Un’autentica progressista che vuole fare veri cambiamenti” a differenza dei suoi rivali che si sono lasciati andare a promesse illusorie, dalla sanità all’istruzione.