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Il Prof. Brandani presenta: “Cambiare l’acqua ai fiori”, di Valérie Perrin

A Livorno, in via dell’Ardenza, c’è il Cimitero della Purificazione. L’ingresso è un viale odoroso, sulla destra cappelle di famiglie livornesi della buona borghesia, a sinistra i marmisti che lavorano tranquilli. Il cielo è sempre terso e il salmastro arriva prepotente. Ovunque un senso di pace. Attraversando la strada, al numero 2 c’è il negozio di fiori gestito dalla signora Graziella e dalla figlia Laura e, prima di loro, dalla ottuagenaria Silvia. Ricordano i nomi di tutti, le dimensioni dei vasi, i fiori preferiti. Consigliano sempre orchidee e margherite e hanno sulle labbra parole di composta allegria.

È proprio tutto vero, allora, mi son detto leggendo l’incipit del bel libro di Valérie Perrin. Nel romanzo Violette Toussaint è la guardiana di un piccolo cimitero. Gentile, solare e dal cuore grande. Durante le visite ai loro cari, tante persone la vanno a salutare. Un giorno si presenta un poliziotto con una strana richiesta: sua madre, recentemente scomparsa, ha espresso la volontà di essere sepolta in quel lontano paesino, nella tomba di uno sconosciuto signore del posto. Da qui si dipana una ragnatela di intrecci e sussulti che tengono avvinghiato il lettore fino all’ultima riga, lasciando però a ogni capitolo una sua peculiarità di sentimenti; ogni pagina fa commuovere e piangere, ma anche lievitare di passione e di speranza. Una speranza alimentata dallo stesso amore che pervade l’intero libro.

Cambiare l’acqua ai fiori è una storia d’amore, anzi una storia dell’Amore in tutte le sue forme, da ogni prospettiva. Amore per un uomo, per una figlia, a volte amore proibito o non ricambiato, amore che resiste anche alla morte. Un sentimento che ci fa gioire, certo, ma anche soffrire, di un dolore che s’insinua più in profondità di qualsiasi altra cosa.

Violette è la protagonista assoluta attorno alla quale ruotano tutti gli altri personaggi, una ragazza sbattuta dal destino, ma che non ha paura d’amare. Si butta a capofitto e resiste, anche quando fa male.

Philippe Toussaint è suo marito. Bello e dannato, rovinato dall’amore morboso dei suoi genitori, donnaiolo incallito, innamorato da sempre della giovane moglie dello zio, che però non insidia proprio per amore (dello zio), inconsapevolmente innamorato di Violette, nonostante le sofferenze che le infligge. E poi il sesso. Tanto sesso. Raccontato in modo così naturale, da farlo apparire e scomparire, eppur tuttavia un balsamo della vita.

La struttura della storia è basata su piani temporali differenti e sull’intreccio di vite diverse, una legata all’altra, magnificamente raccontate. Sarà bene, però, non svelare altro per non rovinare il perfetto incastro costruito dall’autrice e non indicare la via d’uscita di questo labirinto di emozioni.

Leggere il romanzo è come bere amore a lunghi sorsi, assaporando i sentimenti attraverso l’impronta fotografica di Valérie Perrin. Merito, forse, anche del rapporto strettissimo, di vita e di lavoro, con Claude Lelouch, uno dei menestrelli d’amore della cinematografia mondiale. Immergiamoci, allora, completamente nell’atmosfera di una piccola comunità, paradossalmente allegra, che quasi riesce a formare una famiglia in un luogo di morte: un piccolo cimitero di provincia che ospita la Vita, quella vera, autentica, che sopravvive a ogni dolore. Pronta, come Violette, a meravigliarsi per una goccia di rugiada sulla corolla di un fiore.


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