Il fotografo e studioso catalano Joan Fontcuberta ha indagato nei suoi recenti interventi il rapporto tra immagine fotografica e società contemporanea. La rivoluzione digitale ha cambiato l’atto stesso della fotografia creando una mutazione, una vera e propria postfotografia. Le immagini scattate da milioni di fotocamere circolano in Rete a velocità estrema, generando una turbinante “iconosfera”. Ogni giorno vengono scattate e immesse in circolo più foto di quante non ne siano state prodotte nell’intero XX secolo.
Questa vera e propria furia delle immagini crea un contesto di pensiero visivo che ormai tende alla smaterializzazione dei supporti, della nozione di autorialità, di verità o anche solo di memoria. Si tratta di un archivio immenso e al tempo stesso inutile, nel quale è impossibile avere l’ambizione di fare ordine. Come l’Aleph del racconto di Borges esso mostra tutto e al tempo stesso rende ciechi.
A partire da questo stato di cose si dipana la ricerca di numerosi fotografi che, consapevoli della crisi del medium, esplorano incessantemente le zone grigie della riproduzione visiva. Un assaggio di questo nuovo approccio è stato oggetto di un’interessante mostra collettiva intitolata non a caso Metafotografia. Dentro e oltre il medium nell’arte contemporanea, a cura di Mauro Zanchi e Sara Benaglia, tenutasi a Bergamo nel 2019, negli spazi di Baco-Arte Contemporanea. Il catalogo della mostra, edito da Skinnerboox e riccamente illustrato, consente al lettore di farsi un’idea di cos’è la fotografia contemporanea e di cosa potrebbe diventare.
Oltre ai lavori di artisti quali Giorgio Di Noto, Caterina Morigi, Lamberto Teotino, Simone Monsi, Irene Fenara e altri sono presenti numerose interviste che, insieme a due saggi dei curatori, Zanchi e Benaglia, ci permettono di esplorare a fondo il mondo dell’avanguardia fotografica italiana. In un’epoca in cui la diffusione della tecnologia digitale ha moltiplicato a dismisura i modi di raffigurazione di un’immagine questa non è forse più in grado di trasmettere il vero senso di un’immagine universale.
Sembra avverarsi così la profezia di Debord sull’alienazione del consumatore, espressa in La società dello spettacolo: “Più egli contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la sua propria esistenza e il suo proprio desiderio”. Come l’immagine si sostituisce alla realtà, la visione dello spettacolo si sostituisce alla vita. La proliferazione delle immagini svuota il potere evocativo degli originali. Come afferma Lamberto Teotino in un’intervista del volume: “Ogni giorno vengono scattate 300 milioni di foto, almeno tre saranno degli scatti sublimi”.
Le strategie scelte dagli artisti per confrontarsi con questa impasse sono molteplici: chi come Giorgio di Noto colleziona e modifica immagini ritrovate nel deep web criptato, chi archivia l’effimero delle immagini delle telecamere di sorveglianza come Irene Fenara, chi come Teotino introduce tagli, modifiche e paradossi in vecchie immagini ritrovate. La metafotografia mette in luce l’esistenza di un vero e proprio inconscio fotografico, un resto sul quale bisogna lavorare tramite una continua ginnastica della visione.