Il grande passo sullo scorporo della rete Telecom, il presidente Franco Bernabè l’ha fatto nel cda del 30 maggio, quando è stata decisa la creazione di una newco in cui collocare l’asset della rete e in cui il gruppo vorrebbe detenere non solo la maggioranza assoluta del capitale, ma anche del consiglio di amministrazione. La Cassa Depositi e prestiti giocherebbe un ruolo fondamentale, essendo in trattativa per entrare nel capitale della nuova società. Ma nell’operazione e nelle trattative sta filando tutto liscio? E il deal con Cdp è davvero una mossa che guarda all’innovazione e alla strategicità?
Perché la cessione della rete ora?
Come sottolinea sull’Unità Massimo Mucchetti, ex firma del Corriere della Sera, senatore del Pd e presidente della commissione Industria del Senato, “c’è un punto che non dobbiamo dimenticare: la cessione totale o parziale della rete fissa, Telecom Italia l’ha sempre potuta fare. Nessuno gliela poteva e gliela può vietare. Se finora non l’ha fatta, avrà avuto le sue ragioni. La principale delle quali sta nel fatto che anche oggi la rete fissa garantisce a Telecom Italia un Ebitda (margine operativo lordo) del 53%, mentre le attività di servizio rendono parecchio meno e sono soggette alla triplice erosione generata dalla recessione, dalla guerra dei prezzi, soprattutto nel mobile e dalla dilatazione sempre più invasiva e deregolata dei nuovi colossi del web, da Google ad Apple, da Skype a Facebook”.
Un’opportunità per il Paese?
“Bernabè – prosegue Mucchetti – sa bene che la sua idea non può avere come interlocutore esclusivo la Cdp, non foss’altro perché le tariffe le fa l’Agcom e le eventuali agevolazioni sugli investimenti (senza le quali né Giappone né la Corea avrebbero le reti spettacolari che hanno) le propone il governo e le vota il Parlamento. Per lui, l’operazione sulla rete potrebbe essere l’acuto finale di una gestione travagliata dalle tremende eredità delle precedenti gestioni. Per i soci eccellenti di Telecom, potrebbe essere una boccata d’ossigeno nel momento in cui la madre di tutte le privatizzazioni si è da anni trasformata nella madre di parecchie speculazioni, per lo più sbagliate. Per l’Italia, potrebbe essere un’opportunità. Ma solo se fatta bene”, conclude.
Le perplessità della Cdp sulla governance
“La possibilità che l’operazione si realizzi – scrive sul Foglio l’editorialista Stefano Cingolani – viene data al 50%. Soprattutto, non è piaciuta l’intervista dell’amministratore delegato Marco Patuano alla Repubblica perché dice chiaramente che non solo Telecom vuol mantenere il 51%, ma vuole comandare mettendo i suoi uomini al timone della futura società. Franco Bassanini, presidente della Cdp, non ci sta: maggioranza azionaria sì, ma la governance va decisa insieme. In attesa di capire anche quale sarà l’orientamento del governo, alla Cdp non possono e non vogliono dire di più. Intanto gli analisti si chiedono se è davvero un buon affare”. E il sospetto che sia soprattutto una scelta di natura finanziaria resta.
L’ipotesi e le eventuali partecipazioni
L’ipotesi è di creare una società nella quale la Cassa depositi e prestiti abbia una quota del 15-20%, mentre un 30-40% verrebbe offerto sul mercato a fondi e operatori istituzionali. Il resto a Telecom. Nella newco entrerebbe la rete fissa, in rame, comprese le cabine alle quali sono collegati i telefoni degli utenti (famiglie e imprese). E’ probabile che Cdp conferisca anche Metroweb, la società milanese presa da Fastweb che ha una piccola ma strategica rete in fibra ottica. Secondo gli analisti, la rete Telecom vale circa 6,7 miliardi ai quali però verrebbero aggiunti almeno 10 miliardi di debiti. Telecom stima 15 miliardi, Cdp appena 10 miliardi. Le posizioni dunque, sono distanti.
Le opzioni per Cdp e Tesoro
I Paesi che hanno sviluppato il cavo coassiale anche per la tv, sono senza dubbio favoriti, e anche per questo l’Italia deve sviluppare una infrastruttura delle telecomunicazioni più moderna e competitiva. Non è a questo – cioè a progetti d’investimenti per la banda larga, magari in collaborazione con gli operatori privati – che dovrebbero essere destinate le risorse pubbliche, anziché ad alleggerire Telecom (e le banche azioniste)? Ecco il dilemma di fronte al quale si trova il governo. Tanto più che, spendendo esattamente lo stesso, la Cdp potrebbe rilevare l’intera quota di Telco. Una nazionalizzazione? Non proprio, perché potrebbe poi rivenderla traendone beneficio.