Farà un sacco piacere al presidente del Consiglio sapere che, con i suoi 638 giorni complessivi di permanenza al governo, contabilizzati ad oggi mettendo insieme il Conte I e il Conte II, è entrato nella storia dei governi d’Italia piazzandosi al 24mo posto per longevità, distaccando di sei giorni Alfonso Lamarmora, politico con i gradi di generale (ricordato per la sconfitta di Custoza, nulla a che vedere col fratello Alessandro,fondatore dei bersaglieri), e rimanendo sotto i 716 giorni del dott.Sottile, alias Giuliano Amato, saldamente al 23mo, ad un soffio da un altro politico-generale, Luigi Pelloux, che a Custoza, invece, guadagnò una medaglia al valore.
Il presidente-militare resterà per l’eternità nel suo risultato di 725 giorni di governo. E non chiedete chi si trova in cima a questa classifica della longevità nella carica di presidente del Consiglio dall’Unità ad oggi, perché la risposta è facile: Benito Mussolini, con 7574 giorni di durata. Naturalmente il punteggio di Conte è teoricamente migliorabile in questa speciale hit parade, virus cinesi e turbolenza politica permettendo.
Ora, a parte la constatazione del fatto che nell’Italia ricomposta a nazione c’erano un bel po’ di generali al vertice della politica, probabilmente presi a modello dal Salvini-Capitano di recente memoria, c’è qualcosa che i 131 governi dall’Unita’ ad oggi hanno in comune: la durata effimera.
Un po’ di conti? È presto fatto: complessivamente considerata la durata media dei governi italiani è, tra Regno e Repubblica, di un anno e tre mesi ciascuno. Per scendere in dettaglio: il Regno d’Italia è durato 85 anni, ha prodotto 65 governi e 30 Presidenti. La Repubblica nasce 74 anni fa e contabilizza ad oggi 66 governi e 30 presidenti del Consiglio. Il confronto, però, non è alla pari: vent’anni di governo fascista, con un solo nome a capo, truccano le carte del periodo monarchico. Però, fatta la tara, potremo estrarre una verità inoppugnabile: l’instabilità politica italiana è un elemento costitutivo della politica stessa nel nostro meraviglioso paese.
Non è un problema di architettura costituzionale che, certo, può soccorrere e correggere in meglio il tiro, ma, oseremmo, di specifico culturale italiano. L’Italietta appena rimessa insieme, con il suo demi-monde di soggetti descritti dai romanzi parlamentari dell’epoca come I moribondi di Palazzo Carignano (1861), di Ferdinando Petruccelli della Gattina, disegnati da Matilde Serao (La conquista di Roma, 1885), da Federico de Roberto (L’imperio, 1990), da Ettore Socci (I misteri di Montecitorio, 1886), presenze inquietanti capitate in politica non certamente per sovvenire ai bisogni del paese, sempre pronti a concepire trame e inclini al trasformismo, proiettati da un microcosmo periferico e piccolo-borghese nel cuore del potere, insomma quell’Italia lì e quel ceto politico lì non sono, poi, così lontani da quel che passa oggi il convento.
E l’instabilità è il fil rouge che fa continuità tra le due stagioni. Con due sole cesure: l’una, quella negativa legata al fascismo e l’altra, quella positiva, legata all’avvento dei partiti democratici di massa, dalla Costituente fino al rapimento e all’uccisione di Aldo Moro. Dopo, l’Italietta ha cominciato a riprendere il sopravvento.
In chiusura- per i curiosi- la top ten di sempre dei presidenti, fatta eccezione per il periodo della dittatura: Giolitti, Berlusconi, Depretis, Degasperi, Andreotti, Moro, Crispi, Fanfani, Prodi, Minghetti. All’undicesimo posto Bettino Craxi. Fatta eccezione per Berlusca, è un bignami della toponomastica delle nostre città.